Per qualche tempo usai le bellissime Pentax KX e MX. Servì per imparare le tecniche di base.
Dopo mesi e mesi di metropoli nebbiosa, mi veniva un’attitudine e un bisogno di natura incontenibili.
Al ritorno a casa sfogavo questa necessità sulle spiagge e sui monti dove ero cresciuto. Cominciai a muovermi con la fotocamera al seguito allo scopo di riportare con me il ricordo dei paesaggi bellissimi che attraversavo. La cosa era più intensa quando andavo sui monti. Anche perché, diversamente dalle zone di mare, abbastanza frequentate, vi albergavano animali rari e interessanti e situazioni naturali ancora incontaminate.
Al che presto si affacciò prepotente il desiderio di avvicinare questi splendidi esseri e riprenderli.
Ma con un 50mm non si poteva fare. Mi serviva un altro tipo di attrezzatura.
LA FOTOCAMERA ADATTA
La prima cosa che capii fu che, purtroppo, le mie apprezzate Pentax non erano il meglio, anzi erano proprio inadatte. Volendo fotografare anche animali, eventualmente in movimento, non potevo stare a cambiare le impostazioni di scatto durante l’azione. Né mettermi a ruotare continuamente la leva di carica mentre un bellissimo rapace mi sorvolava rapidamente. Ma anche per un animale fermo il tempo a disposizione era sempre poco e dover intervenire continuamente sulle impostazioni col rischio che scappasse da un momento all’altro, non era il massimo. Serviva innanzitutto una fotocamera con esposizione automatica e motore di trascinamento. Mi misi a studiare. Volendo rimanere in Pentax, c’era la ME. Non costava nemmeno tanto. Era automatica e pure motorizzabile. Ma aveva una prima magagna. Non aveva gli schermi di messa a fuoco intercambiabili. Li avevano messi sulla MX, ma non sulla sorellina. Poi era sì automatica, ma purtroppo, solamente automatica. In pratica si poteva usare solo in automatismo a priorità dei diaframmi. Non si potevano impostare manualmente i tempi. Un po’ poco come controllo dell’esposizione. Insomma, una bella macchinetta, ma un po’ troppo amatoriale. Occorreva un corpo più “professionale”, con qualche caratteristica tecnica in più e magari più robusto. La KX era una roccia, ma le MX-ME, per la ricerca estrema di compattezza e leggerezza che avevano fatto, sembravano appunto, “delicatine”.
Insomma, pur essendo Pentax un bel sistema, mi era andato bene come palestra, ma ora non faceva più al caso mio. La bellissima professionale LX era di là da venire, anzi nemmeno se ne sapeva nulla. Dovevo studiare ancora.
Lessi tutti i libri disponibili. E tutte le riviste, che allora erano tante. Ne compravo un paio fisse. Ma appena c’era qualcosa sull’argomento che mi interessava, ne compravo anche altre. Se andava bene riuscivo a leggere 1-2 articoli (utili per la caccia fotografica) al mese. La scoperta della natura stava prendendo piede nella società. Cominciai a frequentare la SICF (Società Italiana di Caccia Fotografica) e a osservare le loro attrezzature. Le persone realmente capaci di fotografare la natura in Italia erano una manciata, fortunatamente molto concentrate intorno alla città dove studiavo. Dove strafortunatamente vi era anche il mercato fotografico più fiorente esistente.
Alla fine selezionai le caratteristiche che doveva avere la mia fotocamera ideale, che erano ben 7, tutte irrinunciabili:
1. automatismo di esposizione a priorità dei diaframmi (per potere utilizzare in automatismo anche ottiche con diaframma manuale, tipo catadiottrici e lunghi fuochi, allora molto presenti, come catadiottrici e follow focus).
2. Utilizzabilità anche in manuale, cioè doveva essere possibile impostare tempi e diaframmi indipendentemente.
3. Tempo più rapido di almeno 1/2000s, raro allora. Non tanto per una qualche utilità nell’uso reale, figurarsi, con ottiche f5.6-8 e pellicole 50-64 ISO. Quanto a garanzia di vocazione professionale del corpo, dotato di un otturatore pro.
4. Schermi di messa a fuoco intercambiabili (per poter sostituire il vetrino di serie con quello semplicemente smerigliato, ideale nell’uso coi teleobiettivi).
5. Motorizzabile, per potere scattare liberamente, senza dover caricare ogni volta.
6. Telecomando elettrico, sul corpo o sul motore di avanzamento disponibile. Per poter comandare la macchina anche a grande distanza, sia con cavo che senza, wireless, cosa indispensabile in certi tipi di fotografia naturalistica molto in voga al tempo.
7. Sufficientemente robusta per un uso un po’ rude sul campo.
Caratteristiche che quasi tutti gli strumenti fotografici oggi possiedono, oppure non servono. Ma allora eravamo ancora agli albori degli automatismi, e i corpi così erano sporadici. Anzi, quasi non ce n’erano proprio.
Analizzai uno per uno tutti i sistemi.
Canon. La (bellissima) professionale F1 old era solo manuale. Poteva essere resa automatica con un accessorio, dal dubbio funzionamento, ma con la certezza di costi molto elevati. Il solo pentaprisma automatico costava come la macchina. La AE1 aveva solo priorità di tempi, inadatta con obiettivi manuali e niente vetrini intercambiabili. La a1 aveva un po’ tutte queste cose, e la misi tra le papabili, ma mi sembrava eccessivamente e inutilmente sofisticata per i miei scopi, magari a scapito dell’affidabilità, e poi tempo più rapido di solo 1/1000s.
Contax. Un unico modello, ma che modello, la fantastica RTS. Aveva tutte le sette caratteristiche, in più doppia motorizzazione (winder e motore potente, compreso il tempo di 1/2000s, entrambi segni inequivocabili di vocazione professionale). Molto costosa.
Leica. Presentava un solo modello, la R3, automatica a priorità dei diaframmi, derivata dalla Minolta XE1. Inavvicinabile, non tanto e non solo per il costo elevatissimo del corpo macchina, quanto per le ottiche che avrei dovuto acquistare dopo. E comunque, totalmente inadeguata. Oltre a costare una fortuna, non era ancora nemmeno motorizzabile (si parlava di un futuro modello, che poi effettivamente uscì, la “R3 Mot Electronic”, con un semplice avvolgitore abbastanza lento) non aveva schermi intercambiabili e solo il 1000/s.Minolta. XE1, anche lei inadatta, in pratica era la Leica R3 con qualcosa meno. XD7, un po’ come la Canon a1, niente schermi intercambiabili e varie altre carenze. Presente a catalogo anche la XM, bellissima macchina professionale, come vedremo, ma totalmente indisponibile nei migliori negozi. Probabilmente da ordinare, andando però incontro al prezzo di listino, elevatissimo, senza offerte, sconti, promozioni, etc.Nikon. Nel sostituire Pentax, era la più papabile, come immagine professionale del marchio. Mi aspettavo chissà quanti modelli disponibili. La delusione fu grossa. Neanche un corpo adatto. Nemmeno una professionale automatica. Era ancora il tempo della meccanicissima e iconicissima F2, insieme alla F, forse la macchina più celebrata dal cinema. In tutti i film di guerra di quegli anni erano sempre presenti, l'una o l'altra, in base al decennio. Ad esempio il già citato "Sotto tiro" o "Full Metal Jacket" e molti altri. Al compianto Centro Foto Cine (uno dei migliori negozi) me la fecero provare, nella versione F2A. Era bellissima. E costava "pochissimo", 260K lire il corpo, perché era “parallela”, un modo elegante per dire “di contrabbando”. Tentennai un po’. Stavo per rinunciare a tutti i propositi e a tutto lo studio, era proprio fantastica. Anche lei automatizzabile come la F1 old, ma a priorità di tempi, per giunta, e col problema del costo esorbitante dell’accessorio. Niente da fare, riuscii a resistere. Praticamente, un solo modello possibile, automatico, la FE. Non male, ma mi aveva deluso non essere la top, e il tempo di scatto era al solito 1/1000s, poca vocazione pro, molto diversa dalla successiva e bellissima FE2.Olympus. OM2, altra macchina automatica papabile. Schermi intercambiabili, due motori, lento e veloce, telecomandabile. Poche informazioni nel mirino (tempi), e solo 1/1000s. Costo relativamente contenuto. Anche se poi avrebbe avuto lunga vita e ottimo successo, non mi sembrava una macchina sufficientemente pro. Invece ottima macchina e ottime ottiche, in realtà. Ma, causa forma, dimensioni, peso, la associai alla compattissima Pentax ME e la ritenni inadeguata.
Insomma, alla fine parve rimanere in lizza solo la Contax RTS. Ero ammaliato oltre che da lei anche dalle sue ottiche e dal mito che circondava il nome Zeiss. Nonostante alcuni di questi obiettivi fossero ancora più costosi dei Leitz R, vi era anche una linea, sempre di eccellenza, comunque più cara di tutta la produzione giapponese, ma dal costo accessibile. Queste ottiche erano fantastiche. Anche solo il design, la forma, la rifinitura, la gommatura, per quanto non fossero caratteristiche fondamentali, ne facevano oggetti molto attraenti ed eleganti. Se c’erano delle ottiche che sprigionavano fascino e classe elevata, erano queste, in assoluto per me le più belle. E con fama di prestazioni ottiche elevatissime. La presi, dunque, la RTS, sempre da Matuella, il mago dei prezzi. Anche stavolta grazie ad una ghiottissima promozione. Era luglio, infatti, e l’importatore Fowa era solito svuotare il magazzino prima della chiusura estiva. Il sig. Dario, capo commesso anziano amico, per esortarmi a prendere la Contax, mi ritirò KX e MX, valutandomi quest’ultima al prezzo a cui l’avevo presa, era come inusata, e l’altra molto bene. La RTS venne 620K lire con Zeiss Planar 50/1.4 e borsa pronto. Una cifra in assoluto molto elevata per allora, ma convenientissima, un prezzo veramente stracciato, in realtà. Dando in permuta le Pentax dovetti integrare solo 170K lire.
La RTS, insieme alla Leica R3, era la macchina più costosa. Anzi, costava di più la Contax, giustamente data l’evidente superiorità tecnica. Solo che era in super promozione e il Planar f1.4 era regalato al confronto con un 50 Leitz (anche il meno luminoso f2).
In ogni caso, non disponendo almeno di un teleobiettivo adatto, la strada per la fotografia naturalistica era ancora lontana, così la misi momentaneamente da parte e mi concentrai sul nuovo strumento.
Intanto avevo il corpo adeguato, dunque almeno partivo col piede giusto.
CONTAX RTS
Una macchina da favola. A metà anni 70 non c’era niente di paragonabile sul mercato. Già la forma esteriore, raffinata ed elegante, parlava chiaro. Mai fino allora l’estetica di una macchina fotografica era stata oggetto di studio. Studio effettuato direttamente dal Gruppo Porsche Design. Un design davvero avveniristico. Le macchine coeve erano dei dinosauri, al confronto, non solo esteriormente, ma anche come prestazioni.
Era di gran lunga la più avanzata professionale con automatismo di esposizione. Le mancava solo l’intercambiabilità del pentaprisma, che avevano alcune ottime concorrenti, tipo Canon F1 old, Nikon F2, Topcon Super DM. Ma era una cosa superflua per la mia fotografia. L’unica professionale automatica e con pentaprisma intercambiabile era la Minolta XM. Ma assurdamente non poteva montare il motore. C’era per questo una versione apposita, la XM motor drive, con motore incorporato inamovibile. Ma entrambi i modelli erano introvabili, e quella motorizzata costava sulla carta quanto tutte le altre professionali messe insieme, Leica compresa. In pratica non gli interessava venderle, almeno non qui da noi.
Tornando alla Contax RTS, il mirino delle Pentax che avevo era ottimo. Ma qui eravamo all’eccellenza. Sembrava fosse illuminato internamente, da quant’era luminoso. Pur essendovene disponibili diversi, il vetrino presente era proprio il mio preferito, con soli microprismi, senza quel telemetro spezzato con cui non ebbi mai feeling. Quando poi presi il primo supertele, aggiunsi quello semplicemente smerigliato, e il gioco era fatto. Informazioni totali presenti, nel mirino. E con led, visibili anche al buio. Pietra dello scandalo, questi led, insieme all’otturatore elettronico, per la conseguente dipendenza dalla batteria, senza la quale la macchina nemmeno scattava, ad esempio se per caso la batteria si scaricava. Questa critica ora farebbe ridere. Ma allora era presa molto sul serio. Si era ancora in un mondo prevalentemente meccanico, si pretendeva la macchina essere in grado di scattare sempre. Come se senza l’esposimetro fosse facile fare buone diapositive, ad esempio, laddove anche un errore di meno di mezzo stop nell’esposizione rovinava irrimediabilmente la foto.
Pensai che, così come dovevo avere la pellicola di ricambio, potevo pure portare un’altra batteria. E poi le batterie di allora erano dei bottoncini molto piccoli che non occupavano alcuno spazio, e duravano anni, a volte. E ancora, nella mia fotografia con macchina motorizzata, innanzitutto il motore di trascinamento alimentava anche il corpo, e poi occorreva comunque portare le batterie di ricambio per detto motore, dunque la critica proprio non mi sfiorava.
Questa cosa della dipendenza dalla batteria era comunque in rapida evoluzione. Da una parte il modello successivo, la RTSII, poteva scattare sempre, avendo un tempo interamente meccanico. Cosa che applicarono anche gli altri costruttori. Difficilmente le macchine più complete mancavano di almeno un tempo meccanico di emergenza. Addirittura su alcune fu montato un particolare otturatore elettro-meccanico capace di funzionare completamente sia in elettrico che in meccanico. Ad esempio le future, in ordine di tempo, Pentax LX, Canon F1n e Nikon FM3A. Dall’altra parte, tutte le macchine automatiche diventarono dipendenti dalle batterie.
E comunque era una sciocchezza. Gli esposimetri, che diventavano sempre più sofisticati, non funzionavano senza batterie, e nessuno ormai scattava senza.
Insomma, tornando alla RTS, le macchine professionali coeve consideravano ancora l’automatismo d’esposizione un’eccezione.
Invece la RTS era proprio stata pensata per un uso massivo con tutti gli automatismi possibili (al tempo).
RTS era infatti l’acronimo di Real Time Sistem, sistema in tempo reale. La fotografia professionale per un uso dinamico in tempo reale. Inutile sottolineare che, sulla scia di Contax, le fotocamere top della successiva generazione diventarono tutte automatiche. Canon F1n, Leica R3, Nikon F3, Olympus OM2, Pentax LX, e altre, tutte con automatismo d’esposizione. Una rivoluzione ispirata dalla Contax.
La RTS veniva prodotta da Yashica, un costruttore medio giapponese con cui la Zeiss aveva un accordo di collaborazione.
Yashica faceva le macchine. Quelle più economiche, comunque discrete, le marcava Yashica, quelle belle, più prestigiose, e costose, Contax. Fabbricava anche gli obiettivi Yashica e qualche ottica Zeiss meno proibitiva da costruire, inizialmente Distagon 35/2.8, Planar 50/1.4, Sonnar 135/2.8. Poi se ne aggiunsero altri. Zeiss invece faceva gli obiettivi “seri”, quelli più impegnativi e costosi. L’attacco era lo stesso, si chiamava appunto Contax-Yashica, C-Y. Le due serie di ottiche Yashica e Zeiss erano intercambiabili, e potevano essere montate sui corpi di entrambe le linee.
Maneggiare la RTS col 50ino era molto appagante.
Relativamente pesante, dava una sensazione di gran solidità, e con un discreto grip (rispetto a quelli del tempo), grazie al rivestimento in pelle, molto bello e morbido al tatto.
Leva di carica additiva e morbidissima.
Mirino bellissimo, già detto.
Pulsante di scatto….. capolavoro assoluto. Era il primo pulsante elettromagnetico di quel tipo mai realizzato per una macchina fotografica. Al di là dell’assenza assoluta di vibrazioni e della secchezza del click, l’esperienza dello scatto era stratosferica. Morbidissimo, corsa corta, un leggerissimo scalino e poi lo scatto silenzioso, felpato, della RTS.
Telecomando elettrico, per una totale assenza di vibrazioni durante lo scatto; il primo realizzato sia direttamente sul corpo macchina, che sui due motori disponibili, il trascinatore da 2 fs e il costosissimo motore veloce, 5 fs, più caro del corpo macchina stesso.
Ero soddisfatto del mio acquisto.
Operatività totale. Tutto realmente RTS, real time sistem.
Continua…
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