Nell’esistenza, relativamente breve, dell’arte della fotografia, molti costruttori hanno contribuito alla creazione di immagini che poi ne hanno fatto la storia e il mito. Uno di questi è stato sicuramente Leitz, forse quello che più di tutti è entrato, si può dire, nella leggenda.
Un po’ di storia spicciola.
Ci sono nel web e non solo, moltissime cronache sulle vicende di questo super blasonato e glorioso marchio.
Per cui non ne farò l’ennesima. Si tratterà solo di una brevissima sintesi, saltando i primordi, diciamo fino a metà del secolo scorso. Poiché non mi interessa raccontare ciò che non ho visto, ma solo letto, concentrerò il racconto a partire dagli anni 70, cioè da quando ho cominciato ad occuparmi seriamente di fotografia.
Un racconto più puntuale su Leica si può trovare tranquillamente in rete, ce ne sono molti.
Svilupperò un discorso soprattutto sulla produzione reflex Leica, che è quella che ho utilizzato realmente e di cui ho esperienza.
Negli anni 50-60-70 il panorama della fotografia era molto diverso. Le fotocamere erano quasi tutte mirrorless, alcune col solo mirino galileiano, le più perfezionate col telemetro, e tutte meccaniche.
Le reflex si affacciavano timidamente sulla scena.
C’erano molte fotocamere molto belle. Canon, Contax, Nikon, Minolta, e altre.
Ma la più perfetta, quella col sistema più perfezionato, era sicuramente la Leica M.
Con un parco ottiche stellare, che comprendeva lenti di tutti i tipi, dai grandangoli ai teleobiettivi, anche spinti. Il sistema era quanto di più completo al tempo disponibile.
Tutto meccanico, ovviamente, ma tra gli innumerevoli accessori c’erano perfino motorini di avanzamento pellicola (non elettrici, ma a molla, con carica manuale). Per questo motivo la Leica era effettivamente una macchina professionale, utilizzata in ambiti lavorativi. La meccanica con cui era costruito tutto il sistema era talmente raffinata ed avanzata da dar luogo a strumenti dall’affidabilità proverbiale. La narrazione in proposito è quanto mai vasta. Macchine sopravvissute ad incidenti aerei, a naufragi e quant’altro. Ritrovate sepolte o in fondo al mare dopo decenni e, o addirittura ancora funzionanti o facilmente rimesse in sesto. Erano il meglio disponibile, davvero.
Leica, ponendosi da sempre al top della qualità mondiale, era dunque un prodotto ultra professionale.
Una fotocamera Leica tenuta correttamente, durava tranquillamente per decenni.
Un bel momento, intorno agli anni 60, quando la tecnologia fu matura, saltarono fuori le reflex giapponesi, ed ebbero subito un gran successo.
Un po’ come accadde allo strapotere delle biottiche Rolleiflex quando arrivarono le Hasselblad monobiettivo, anche Leica fu colta di sorpresa e si trovò impreparata. Come Rollei, perse tempo prezioso e, insieme al tempo, mercato.
Ma un bel momento colse la situazione e iniziò convintamente a costruire obiettivi e fotocamere reflex.
Continuando però a mantenere la produzione a telemetro, suo vero fiore all’occhiello. Insomma, la storia dettagliata è ampiamente disponibile e conosciuta.
Leitz iniziò la costruzione delle fotocamere reflex, dunque. Mentre sulle fotocamere a telemetro ormai, nel tempo, aveva raggiunto una dimensione “cosmica”, nel mondo reflex occorreva partire da zero, e non fu impresa facile. Anche perché la concorrenza giapponese aveva fame di risultati, e correva all’impazzata, sfornando produzioni per tutti, dal principiante al professionista, anche di elevata qualità.
In ogni caso Leitz iniziò a produrre reflex. A modo suo ovviamente. Cioè alla grande.
Forte del prestigio assoluto di cui disponeva le sue reflex dovevano essere almeno al livello delle telemetro.
E così fece, iniziò a costruire reflex estremamente raffinate e prestanti. Interamente meccaniche, e tecnicamente ottime, ovviamente. E a prezzi Leitz, cioè indirizzate a un pubblico esclusivo, in grado di sborsare cifre esorbitanti.
Insieme alle fotocamere, anche una serie di obiettivi, con cui nacque il sistema Leica reflex, abbreviato Leica R.
Dunque da quel momento Leica ebbe due linee di produzione, Leica M e Leica R. Per ragioni di tiraggio meccanico, le due linee non erano realmente interscambiabili, per cui era possibile solo montare le ottiche R sui corpi M, tramite distanziatori. Ma era una cosa poco comune, in quanto si perdeva l’uso del telemetro. In pratica non c’era più un vero ausilio alla messa a fuoco. Si poteva utilizzare qualche grandangolo in iperfocale, oppure occorreva affidarsi alla scala metrica. Modalità di messa a fuoco che non rendevano giustizia a ottiche di tale bontà.
Qualche lungo teleobiettivo, che comunque era usato con una cassetta reflex sulle M, fu scambiato fra le due linee, e poi qualche altra ottica particolarmente meritevole, normali, teleobiettivi moderati, fu realizzata nelle due montature M ed R.
Di fatto però i due sistemi vivevano di vita propria, e il sistema R si sviluppò autonomamente.
Si sviluppò così bene da provocare crisi di insonnia negli appassionati che ne ambivano soprattutto le eccezionali ottiche.
Fotocamere Leica R
Partendo praticamente da zero, Leica non seguì la strada di Nikon, la cui prima reflex, la Nikon F, derivava direttamente dai modelli tipo Nikon SP ed S3 a telemetro, di cui montava moltissimi pezzi. Fece invece una fotocamera originale, e da par suo.
Inizialmente l’idea era di controbattere alle giapponesi, tipo la Nikon F e altre, che vantavano già caratteristiche avanzatissime (per allora), come esposimetro, mirini e vetrini di messa a fuoco intercambiabili, motori di avanzamento e quant’altro. Invece la prima Leicaflex esce in versione molto semplificata, senza niente di tutto questo, pentaprisma non intercambiabile, schermo di messa a fuoco fisso, niente motorizzazione. Con esposimetro incorporato ed accoppiato, ma non TTL. Ma subito con un otturatore veloce, tempi fino a 1/2000s e sincronizzazione flash a 1/100s (molto buona per un otturatore a scorrimento orizzontale). Seguirà dopo qualche anno la SL con esposimetro TTL. Poi la SL2 e infine l’ultima, la SL2 MOT, via via sempre più perfezionate.
Fotocamere costruite praticamente a mano, una per una, come le M di una volta. Con tutti gli elementi opto-meccanici al massimo livello. E prezzo stellare.
Purtroppo, la mancanza della motorizzazione e dell’intercambiabilità, non tanto dei mirini, quanto dei vetri di messa a fuoco, limitavano, se non proprio precludevano, i generi più dinamici, come la fotografia sportiva e di natura. Riguardo ai vetri di messa a fuoco, Leitz asseriva quanto segue: ”La brillantezza e la costruzione unica a microprismi dello schermo di messa a fuoco della Leicaflex SL rendono inutili gli schermi intercambiabili.”
Alla fine, ma proprio alla fine, con la SL2 arrivò la motorizzazione. Un nuovo modello, denominato appunto SL2 MOT, con apposite predisposizioni elettriche e meccaniche per il motore, e senza autoscatto. Una motorizzazione però con alcune limitazioni. Innanzitutto dedicata ad un modello specifico (ovviamente ancora più esclusivo e costoso), e non standard, come per le giapponesi, es. Canon F1, Nikon F, Topcon Super DM, etc., in cui il modello era unico e abilitato al trascinamento automatico. E poi un motore anche lui costosissimo (costava quanto la macchina) e gigantesco, con impugnatura niente affatto ergonomica, un po’ limitante nell’uso a mano libera.
A smentire quanto detto prima, arrivò anche l’intercambiabilità dei vetri di messa a fuoco, di soli tre tipi, immagine sdoppiata con corona di microprismi, solo microprismi, solo vetro smerigliato.
Ancora Leitz:” La preferenza per lo schermo di messa a fuoco deve essere indicata al momento dell'ordine della SL 2”. Tradotto, per avere, ad esempio, il solo vetro smerigliato, occorreva un corpo dedicato, oppure spedire ogni volta in assistenza la fotocamera per fare il cambio (coi tempi di allora).
Mentre con le japs si acquistava a parte il vetrino che si voleva (scegliendo magari fra decine di tipi), e lo si sostituiva autonomamente alla bisogna.
La scelta di non competere direttamente con gli arrembanti giapponesi, diede luogo a una importante differenziazione riguardo ai generi cui erano destinate queste macchine. Non più corpi ultra professionali adatti a qualunque genere fotografico, come le M del tempo (rispetto alle fotocamere coeve, naturalmente).
Ma eccellenti corpi con cui fare molti generi, al meglio. Da questo momento in poi, non tutta la clientela professionale continuò a servirsi di Leica, ma la maggioranza optò per le più complete giapponesi (che oltretutto costavano una frazione delle tedesche).
Si trattava, e si tratta ancora, di fotocamere molto buone. Non super complete al pari della concorrenza dedicata al mercato professionale, ma comunque più che sufficienti per utilizzare il vero gioiello del sistema R, le sue fantastiche ottiche. Successivamente ci occuperemo anche delle fotocamere elettroniche di Leica.
Gli obiettivi Leica R
Gli obiettivi R sono stati talmente apprezzati dagli appassionati che li hanno utilizzati da diventare realmente oggetti di culto. Con prestazioni altrettanto spettacolari dei serie M, possedevano per me, e posseggono tuttora, un interesse nettamente maggiore in quanto di tipologia più ampia rispetto agli M, e più adatti a una fotografia a 360°. Diversamente dai cugini a telemetro, proverbialmente buoni, ma limitati a lunghezze focali abbastanza ridotte, dall’uwa non troppo spinto (21mm) al tele moderato (135). Ma in realtà, a detta dei grandi esperti del sistema M, veramente perfetti e adatti a un range molto più ristretto, addirittura tra 35 e 50mm. Gli R, invece, partivano da 15mm e si fermavano a 800mm, consentendo di abbracciare praticamente tutti i generi fotografici, e per questo da me preferiti.
Chiaramente col tempo le cose sono cambiate, ma fino agli anni 70-80, la situazione era questa.
Con la serie di obiettivi Leica R, l’appassionato aveva a disposizione il meglio della produzione mondiale, con alcuni modelli che raggiungevano vette elevatissime, precluse ai più per l’esclusività di un sistema con prestazioni notevoli, ma a costi ovviamente conseguenti.
Obiettivi di tutti i tipi, dall’ultragrandangolo al tele spinto, passando per super luminosi, macro, zoom. Ognuno con caratteristiche avanzate, ma soprattutto qualità ottica e meccanica di riferimento. Alcuni, quelli con lenti speciali, con caratteristiche ottiche e resa proverbiali, es. gli “Apo”, ovvero particolarmente corretti contro le aberrazioni cromatiche. Ma anche quelli costruiti con lenti normali, spesso erano un riferimento in quanto il top raggiungibile con lenti non “esotiche” e superiori alla media di ottiche costruite con pari tecnologie.
Questo sistema arrivò al massimo fulgore negli anni 80 quando la concorrenza nipponica aveva raggiunto una dimensione globale anch’essa avanzata e invidiabile.
Nonostante questo, e pur non essendo sempre al top per completezza di funzioni e innovazione tecnologica, Leitz ha mantenuto nel tempo ugualmente un’aura di prodotto inarrivabile ed elitario, che nessun altro è mai riuscito a raggiungere nella storia della fotografia.