Canon EOS R5 - f/9.0 - 1/2000s - 2000 ISO - EF500mm f/4L IS II USM +1.4x III
Premetto che tutte le considerazioni sull'ambiente, gli animali, le riprese e l'uso specifico delle attrezzature, valgono solo ed esclusivamente per questo ambiente e questi animali. So bene che corvi o gracchi o falchi o persino le aquile, chissà, in altri posti sono facili da fotografare, ma le condizioni qui presenti sono molto specifiche. Innanzitutto si tratta di animali totalmente selvatici e che non dipendono minimamente dell'uomo, anzi lo evitano come la peste. Lo spopolamento delle campagne poi ha fatto sì che questi luoghi, tranne i punti panoramici dove arrivano tutti in auto e sono frequentatissimi, siano letteralmente deserti. Tutti arrivano, fanno un passetto, schiamazzano un po', ammirano la vallata e tempo pochi minuti se ne vanno (per fortuna). Anche perché non ci sono veri sentieri, e i tracciati presenti non sono così agevoli e sicuri. Basta allontanarsi pochi metri dal parcheggio per non trovare mai anima viva. Gli stessi pastori presenti, che le dita di una mano sono pure troppe per contarli, 1-2 al massimo, non fanno quasi più un passo a piedi, se non per recuperare qualche animale sperduto o ferito. Spostano malvolentieri il sedere dal sedile del gippone, dal quale, mentre smanettano continuamente lo smartphone, osservano svogliatamente i loro armenti. Anche loro hanno le loro ragioni, la vita è cambiata per tutti, e non in bene, nonostante le comodità. Le belle scene dei pastori col lungo bastone e la “sacchina” di pezza a tracolla, alla testa delle greggi, sono un ricordo del passato, non se ne vedono più da almeno 30 anni. Questo ha fatto sì che aquile e altri uccelli più diffidenti, totalmente disabituati alla presenza umana, siano diventati ancora più sospettosi e difficili da avvicinare. Persino rondini e rondoni alpini, quei pochi che si vedono, tra l'altro numericamente crollati, restano sempre a distanze siderali, mentre prima passavano a pochi metri.
Lo stesso discorso vale a maggior ragione per le attrezzature in uso. Quando ne sottolineo alcuni limiti, non è detto valgano per altre situazioni, ma solo per queste, che sono abbastanza particolari.
Il mio legame con questo tipo di fotografia.
Dipende molto dalla mia infanzia. Mio padre, cacciatore seriale di coturnici col cane da ferma, cercò di inculcarmi a forza la passione per questa caccia in tenerissima età. A 5-6 anni mi portava in luoghi un po' meno difficili. Ma dopo un paio di estati a caccia di facili e rilassanti quagliette, già a 7 anni pensò bene di portarmi nel luogo più difficile e impervio, ma al contempo più misterioso e affascinante, le mitiche "rocche". Gli davano tutti del pazzo, gli altri cacciatori che, pur adulti, le evitavano come la peste, per la durezza del luogo, mancanza d'acqua, e per l'oggettiva difficoltà di caccia delle prede, le bellissime coturnici. Ma lui non se ne curava minimamente, anzi ci gongolava, sotto sotto. Avesse saputo mia madre i precipizi in cui mi portava, sarebbe svenuta e non gli avrebbe mai più permesso di portarmici. Intanto io crescevo e amavo quei luoghi. A parte i pastori, solo un altro cacciatore li frequentava, un nostro compare, ma molto sporadicamente e nelle zone meno impervie. Mio padre invece mi ci portava un giorno sì e uno no (ma solo per far riposare i cani, che si massacravano i piedi in quelle pietraie, se no mi ci avrebbe portato tutti i giorni). Per cui imparai i segreti di questi posti come pochi. A soli tredici anni, già dotato regolarmente dal folle padre di fucile standard, (ovviamente senza licenza, che si poteva avere non prima dei 16 anni) mi muovevo tra le rocce come un abile e maturo cacciatore.
Le coturnici sono uccelli molto difficili da cacciare. Quando volano in seguito ad un disturbo, (leggi, uno-due-tre cani che le braccano, e fucilate a volontà al primo frullo), per salvarsi vanno a nascondersi in cespugli di leccio che crescono su irraggiungibili rocce a picco, così sfangandola rispetto a qualunque pericolo naturale. Ma neanche lì, al sicuro dal mio letale genitore. Gli bastava vedere l'angolazione con cui scomparivano al tracollo per determinare con certezza quasi matematica dove si sarebbero posate. Tramite aggiramenti in stile leopardo, riusciva a raggiungerle dall'alto e si metteva a scaricare valanghe di sassi per stanarle e obbligarle a involarsi, finché le poverine non partivano, con contorno di schioppettate. Dai 7 anni in poi pensò bene che, visto che c'ero, tanto valeva che fossi io a farlo, così lui si concentrava sul tiro. E così toccava a me sporgermi da pizzi assurdi e lanciare pietre. Centravo un cespuglio a 30m come niente, mentre lui con la doppietta mitragliava.
Quando a 20 anni, con sua grande disperazione, (e conseguente non benevola reazione) presi coscienza e decisi di abbandonare per sempre la caccia, non andai più per anni in quei luoghi. Mi sentivo come mutilato di qualcosa, ma preferivo ugualmente non vederli più, questi meravigliosi posti.
Passai subito alla fotografia, ma ci volle tempo prima di scoprire e soprattutto essere in grado di praticare la fotografia naturalistica, sotto forma di caccia fotografica, e 4 lunghi anni prima di poter disporre del primo vero supertele, un Novoflex 280, poi 400 e infine 600mm. Non c'erano internet, tutorial e quant'altro.
Al che scoprii che non solo potevo scambiare pari pari la caccia con la fotografia, ma che anzi questa era 1000 volte meglio, anche perchè i soggetti disponibili lo erano sempre, non venendo mai uccisi, e potevano essere fotografati più e più volte, un giorno dopo l'altro, quasi all'infinito, anche per anni. Inoltre, cosa importantissima, diversamente dalla caccia, non c'erano periodi di divieto, e si poteva praticare 365 giorni l'anno. Uscivo regolarmente tutti i giorni. Cominciai col fotografare pernici, beccacce e lepri, cioè la selvaggina che mio padre mi aveva insegnato a scovare, ma presto cominciai a guardarmi intorno e, soprattutto, in alto, fino a scoprire, proprio sulle rocche, la presenza delle maestose aquile.
Amore a prima vista e ritorno alla grande nei posti bellissimi della mia infanzia-adolescenza.
Ecco spiegato perché ho sempre considerato naturale stazionare e sporgermi in quegli strapiombi, dove neanche i nativi osavano. Quasi nessuno infatti cacciava le coturnici, soprattutto in quei luoghi. Troppo impegnativo, anche fisicamente. Insegnai questa tecnica fotografica traslata dalla caccia a un ragazzo del luogo con 20 anni di meno e qualche velleità fotografica. Ma era dominato dalla paura di cadere, e si metteva sempre almeno 10m indietro, rinunciando così alle migliori occasioni.
Canon EOS R5 - f/9.0 - 1/2000s - 1250 ISO - EF500mm f/4L IS II USM +1.4x III
Una fotografia estrema e i suoi surrogati
Il fatto è che la fotografia sistematica di aquile è una fotografia estrema, per tutto ciò che la riguarda. I soggetti. I luoghi. Le attrezzature. Le competenze necessarie. La capacità di muoversi in ambienti sfavorevoli. Etc.
Fare bene le aquile reali in natura esige infatti impegno e dedizione. Una foto, anche una bella sequenza, può capitare a chiunque. Sei in montagna, per caso te ne passa una vicina, gli spari una raffica e via. Anche uno inesperto, con le fantastiche attrezzature attuali, non ne sbaglia nemmeno una. Sto descrivendo esattamente quello che è capitato a un ragazzo e al suo amico pochi mesi fa qui, a due passi da Milano. Oppure vai in Spagna, in Finlandia, nell'Est Europa, e animali allettati con foraggiamento costante, ormai totalmente snaturati, ti vengono a pochi metri. Si tratta di situazioni con capanni organizzati, talvolta vere e proprie casette con molti confort, elettrificate, in cui paghi e ti siedi al calduccio con la copertina sulle gambe, (in alcuni mi hanno detto essere presenti persino stufe, frigo, cucina, etc.), con animali impegnativi e importanti a portata di mano. Così fotografi perfino aquile reali posate (sulla preda visibilmente surgelata, messa lì giornalmente o, furbescamente, a lato, per non farla vedere, come se non se ne conoscesse il contesto), o aquile di mare come fossero verdoni sui girasoli, oppure le fotografi mentre stanno posando, o mentre se ne vanno, così non si vedono strutture, rami tagliati e quant'altro, e sembra che le hai fatte in movimento in terreno libero. Ma le difficoltà, l'imprevedibile, l'imponderabile, la tecnica, le scelte, la bravura, l'esperienza, non ci sono o non sono necessari, (a volte c'è perfino uno a fianco che ti presta il supertele, anche bello, e ti dice come fare), e dunque neanche il fascino e la poesia che ne conseguono.
Lo dico con tutto il rispetto per queste situazioni. Niente da dire. Ovviamente si fa quel che si può (e che si concepisce e accetta).
Ma spiace vedere questa concezione mercantile in cui pure una cosa così bella come riprendere la natura, venga mercificata, e persino la fotografia, lo scatto, si comprino. Questa semplificazione, questo saltare gli ostacoli, è molto consumistico. Ci può stare, qualche volta. Una particolare specie, un luogo specifico, un'occasione speciale, uno sfizio, perfino. Ma in generale trovo molto diseducativo questo approccio. Soprattutto agli inizi. Lo dico proprio per chi sta iniziando e si avvicina alla fotografia naturalistica. Chi già lo fa invece difficilmente riesce a uscirne. Perché vai, fotografi una specie rara e difficile con una facilità estrema, bastano dei soldi, neanche tanti, e ti abitui. Pubblichi queste foto su un forum, su fb, ti vanti, te la tiri un po', ti dicono bravo, eccezionale. Poi, se provi a farlo realmente, sul campo, con animali “veri”, le cose cambiano radicalmente, altro che fare una foto, neanche riesci a vederli questi animali, perché in realtà non hai imparato niente, non hai maturato niente, non ne sai niente. Ti mancano i fondamentali, e allora si torna al pagamento, e non se ne esce più. Come fosse una dipendenza. “Non ho tempo” è spesso la giustificazione. Ma un minimo di etica deve pur esserci. Anche queste aquile, uccelli notevoli e magnifici, che vengono snaturate in questo modo… E con che nobili scopi, e che paroloni da parte di chi ci lucra. Aiutare, favorire, facilitare, sostenere… Ma fornire animali morti a predatori di questa rarità e pregio, dal punto di vista naturalistico, può mai essere una cosa buona? E cosa gli viene fornito? Carne freschissima di prima scelta, come quella che mangiano d'abitudine? O non piuttosto roba surgelata di cui si immagina facilmente la qualità? E dato che ha un costo, non si cercherà di risparmiare all'osso? Oppure il tossico piccione cittadino vivo, facile da procurare. Questi superpredatori non hanno bisogno di nessun aiuto, nessun sostegno, sanno cacciare e procurarsi da vivere perfettamente. Se sono presenti in un territorio, vuol dire che quell'ambiente li sostiene e loro sanno benissimo adattarsi ad esso.
Viziarli, snaturarne i comportamenti, deviarne le abitudini, attenuarne gli istinti predatori rendendoli dipendenti, non va certo a loro favore.
Di conseguenza, la presenza di certe bellissime foto, certi primi piani mozzafiato, tutta questa facilità, novizi con costose attrezzature e foto che ci vogliono anni e anni per maturare e imparare a fare, non devono ingannare e neanche impressionare. Per me queste foto non hanno valore. E poi, oltretutto, ma che piacere ci può essere ad andare tutti nello stesso identico posto, a fare tutti le stesse identiche foto? Anche la semplice osservazione, la conoscenza di questi maestosi animali, diventano poco verosimili. Quando sono effettivamente liberi, si comportano molto diversamente, come sa chi li conosce realmente.
Ma quanto detto non va visto come una mera critica. Assolutamente no! So quanto è difficile fare le cose come descritto, non tutti ne hanno la possibilità o vogliono farlo, e dunque a volte le scorciatoie sono l'unica alternativa. Ma non sempre. Se si è giovani, ad esempio, si può iniziare seguendo altri percorsi. E comunque si tratta di una visione, di una filosofia, di un modo d'intendere le cose, applicabile ad altri generi e soggetti.
Ma rimane in ogni caso l'accettazione delle scelte altrui. Ognuno fa come vuole (nel rispetto della legislazione vigente) e nessuno può dire niente, giustamente.
Il mio intento dunque, è unicamente di suggerire, con l'esempio, non solo a parole, un approccio diverso, una filosofia differente, rispettosa della natura, e più appagante infine, e che non ci vuol molto a capire essere di un altro livello.
Sono disponibile a confrontarmi e a dare quello che posso senza problemi. Ciò che si impara con quest'altro approccio può essere poi persino riversato nella vita di tutti i giorni e in tutt'altre situazioni. Con grande beneficio per tutti.
La vera BIF (bird in fly, uccelli in volo, avifauna in volo, etc.)
Lodolaio Canon EOS R5 - f/10.0 - 1/2000s - ISO640 - EF500mm f/4L IS II USM +1.4x III
Anche qui, come doverosa premessa, ognuno la fa come vuole, e nessuno ha diritto di criticare o di stabilire regole. A parte non danneggiare i soggetti, non ci sono regole.
Citerò degli esempi generali, non mi riferisco in particolare a nessuno.
È che ogni tanto, ad esempio per magnificare le caratteristiche siderali dell'af di certe macchine, vengono mostrate foto, in un certo senso col trucco. Oppure per dire che anche con macchine meno votate si possono fare bellissime foto di bif. Ad esempio una bellissima upupa con le ali sfarfallanti (e con la preda nel becco). O la fantastica ghiandaia marina ad ali aperte (e con la preda nel becco). O lo stiaccino (sempre il maschio) che ti viene contro (quale dimostrazione migliore di un af pazzesco?). O un bellissimo edredone in volo, etc. etc.
Innanzitutto se la foto è bella, è bella, ok. Si è sempre detto, com'è fatta è fatta.
Ma se vuoi testare l'af di una macchina e cantarne le lodi, queste foto non vanno bene. C'è poi un altro punto. Una volta, una foto del genere, era un'autentica rarità, e allora “com'è fatta è fatta” aveva un senso. Ma nel mare magno delle migliaia (se non milioni) di bellissime foto del genere, un minimo di distinzione può essere proprio quel minimo di tecnica necessaria per non fare le solite identiche immagini. Perché l'upupa e la ghiandaia sono davanti al nido e stanno per posare. Lo stiaccino parte sempre dallo stesso posatoio e fa sempre lo stesso tragitto, magari perché sente il richiamo di un altro maschio e impazzisce per trovarlo e scacciarlo dal territorio in cui ha il nido. L'edredone, o tantissimi altri soggetti nelle stesse identiche condizioni, sono posati nel laghetto e spiccano il volo da fermi, o stanno posando, e potrei mettere tante altre situazioni.
Questa, per me, non è la vera bif che si intende ora, quella moderna con gli af attuali. Perché queste foto le facevo ugualmente, e come me tantissimi altri, col 600/8 Novoflex o col 600/5.6 IF-ED, e con 50 ISO, decenni fa, totalmente in manuale e con 2-3 fs. Sono foto in cui la distanza soggetto-piano focale, praticamente non varia, o varia molto poco, per questo riescono così facilmente. Il soggetto, ancora, non è libero di fare il volo che vuole, o perché è abituato, o perché parte da fermo, o perché sta posando, o perché deve andare in un punto preciso, il nido.
Sono belle foto? Alcune sono belle. A volte non c'è altro modo per farle, o è più comodo, o con le competenze possedute non si riesce a fare meglio? Ok, tutto lecito e nessuno ha il diritto di dire che non vanno bene. Ma consideriamole per quello che sono, non per af stellari o capacità sovrumane del fotografo, non è così.
La BIF che piace a me invece, e che apprezzo quando la vedo, è quella con le solite, semplicissime premesse. Innanzitutto che l'animale sia libero di andare o non andare in un determinato posto. Sta al fotografo trovare il modo di mettersi nel punto giusto in cui si troverà (se posato) o passerà. Poi, il volatile deve essere libero di volare come vuole, e in volo pieno, non in accelerazione o in decelerazione, quando si invola o quando sta posando, condizioni in cui può anche essere quasi fermo, e non semplicemente con le ali aperte. Insomma, traiettorie e velocità casuali, non predeterminate. Qui si possono valutare abilità del fotografo e caratteristiche dell'attrezzatura.
Sul campo.
Fotografare correttamente, (cioè senza alterare il comportamento naturale degli animali, in totale libertà), sistematicamente le aquile reali, producendo con continuità risultati di qualità elevata, non è uno scherzo. D'altra parte, quando si fanno le cose perbene, si tratta di una fotografia assolutamente pura e di grandi emozioni e gratificazioni.
I luoghi sono esclusivi e impervi, come si diceva con strapiombi e precipizi, che possono diventare anche pericolosi per chi non ha un'adeguata preparazione e conoscenza. Chi ha problemi di instabilità, equilibrio, soffre di vertigini, di ansia, di cuore, emotività eccessiva, è iperattivo o scattoso, non è indicato per questo genere fotografico. Anche perché, ovviamente, le occasioni migliori solitamente si presentano nei posti più rischiosi. Occorre pertanto il massimo autocontrollo, evitare gesti bruschi, movimenti sempre controllati, mai andare indietro, certezza del punto in cui si poggiano i piedi, anche in situazioni da fermo. Il pericolo infatti non sta tanto nel cadere dal precipizio. Basta molto meno. Non ci sono mai condizioni in piano con fondo costante. È tutto roccia e affioramento di spuntoni, pericolosissimi non solo quando ci si cammina, che uno magari guarda bene dove mette i piedi, ma anche quando vi si staziona stabilmente e dopo un po' ci si distrae, quando non si immagina possa esservi pericolo. Nei momenti topici, ad esempio, quando un soggetto importante finalmente si avvicina, fa qualche via vai avanti e indietro, e sai che sta arrivando il momento che hai aspettato, a volte per anni. Spesso occorre spostarsi, anche solo di qualche metro, perché uno spuntone di roccia o un cespuglio impediscono la vista (non ci sono balconi panoramici), e con l'attrezzatura puntata, seguendone le evoluzioni. Cioè con l'occhio nel mirino, o comunque col supertele imbracciato. Lì avverto il massimo rischio. A cominciare dall'attrezzatura, che con un semplice inciampo può finire rovinosamente sulle rocce, senza scampo. Ma soprattutto per la pericolosità di cadere su una superficie del genere, tutta irta di spuntoni durissimi, con attrezzature costose in mano, cercando istintivamente di salvarle, così rischiando di rompersi qualcosa seriamente lì, dove, a meno che non ci si trovi in compagnia, non c'è nessuno che può darti immediatamente una mano.
Pur tuttavia, fotografare aquile reali, per me, rimane la quintessenza della fotografia naturalistica.
Canon EOS R5 - f/10.0 - 1/2500s - 3200 ISO - EF500mm f/4L IS II USM +1.4x III
Innanzitutto per i soggetti. Uccelli di dimensioni massime e con capacità di volo altamente dinamiche, con comportamenti molto interessanti per il fatto di essere superpredatori, al vertice dell'evoluzione e della catena alimentare. Nessuno preda un'aquila reale adulta. Animali che giornalmente cacciano difficili e sfuggenti prede vive, in un gioco sempre al limite, in cui chi perde muore. Già, anche le aquile muoiono. I giovani, soprattutto, con una percentuale del 95%. Su 100 aquilotti involati, gli “studiosi” dicono arrivarne all'età adulta solo 5. A me sembra molto esagerato, ma così direbbero gli studi. Dalle mie personali osservazioni non sembrerebbe così. Comunque ne muoiono tanti. Perché muoiono? La maggior parte di fame. Proprio perché, con la scarsa, cronica, disponibilità di prede e di territori disponibili, una volta raggiunta la maturità necessaria, abbandonati (e scacciati) dai genitori, faticano a trovare animali da catturare, si indeboliscono, dunque diventano meno prestanti, si debilitano e muoiono d'inedia.
Poi amo questa fotografia per l'oggettiva bellezza di questi animali, aumentata dall'impressione di forza e potenza che trasmettono. Infine per le loro caratteristiche di movimento. Tanti esseri viventi hanno il dono del volo. Ma un'aquila reale non vola, danza. A volte fa balletto classico, librandosi nell'aria come una piuma. A volte danza moderna, veloce e muscolare, con scatti, contrazioni, stacchi, rotazioni, cambi repentini. Ogni suo movimento sprigiona bellezza e grazia, e i vari tipi di volo, volteggio, planata, scivolata, picchiata, cabrata, sono un inno all'armonia e alla prestanza. Osservare le spettacolari evoluzioni di un pellegrino, ma che dico, di un lodolaio, e trovare aggettivi fantasmagorici è abbastanza scontato.
Ma vedere un'aquila in volo a festoni, ( https://www.youtube.com/watch?v=wWPeDKAW0ao l'anno prossimo mi cimenterò coi video e cercherò di filmarlo, quando lo fanno) o mentre cabra e gira ad alta velocità, è un'esperienza veramente mozzafiato.
Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, 1/2000 f/9.0, ISO 1250, mano libera.
Canon EOS R5 - f/10.0 - 1/2500s - 3200 ISO - EF500mm f/4L IS II USM +1.4x III
(Dicono raggiunga i 300 km orari. Non so, difficile misurare, ma ho visto certe picchiate veramente pazzesche, che se arrivasse addosso a una persona, per la quantità di moto posseduta, solo con l'impatto la ucciderebbe).
Pur così grande e pesante, infatti, un'aquila reale non è mai goffa, ma estremamente elegante, capace com'è di evoluzioni e manovre da capogiro. E sempre con una classe e un contegno, appunto, regali.
Quando un rapace inavvertitamente si avvicina troppo (cioè quando grazie ad anni di esperienza riesci a farlo avvicinare "troppo" per i suoi parametri) e si accorge della presenza inaspettata di una persona, spesso si scompone, scarta improvvisamente, si butta in picchiata per fuggire al più presto. Se stava volteggiando batte furiosamente le ali. Un'aquila reale non lo farebbe mai. Solo qualche volta, magari un giovane molto timoroso. Ma un regale adulto mai. Semplicemente si allontana. Senza che muova un solo muscolo o una sola piuma, chiedendoti come faccia, la vedi prendere quota, e allontanarsi rapidamente, non senza alzare un ciglio come a dire:"Parbleu, ma tu guarda dove si trovava l'umano".
Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 2.0x III, 1/2000 f/8.0, ISO 640, mano libera.
Le aquile che mi soddisfa fotografare, e non solo le aquile, ovviamente, sono animali assolutamente selvatici, che non dipendono e non sono minimamente snaturati, ma sempre giustamente diffidenti con l'uomo. Quindi niente capanni con cibo, luoghi preparati, attrezzature, veri e propri carnai. I soggetti non vengono attirati in alcun modo. Hanno i loro posti, i loro tempi, le loro esigenze e consuetudini. Tutto questo va studiato e interpretato, si tratta alfine di trovarsi al posto giusto nel momento giusto, con l'attrezzatura giusta e pronta. E di non lasciarsi scappare l'occasione buona, quelle poche volte che si presenta, talvolta in maniera quasi imprevedibile. L’amico Mimmo è rimasto tre giorni, e i primi due non le abbiamo neanche viste, c'era un meteo pessimo e non volavano. Il terzo giorno, che era bello, fortunatamente l'aquilotto si è concesso qualche giretto, e subito sono successe cose interessanti. L'indomani, quando ormai era partito, hanno girato tutto il giorno, ho fatto 1763 foto. Invece Antonio ha avuto più fortuna. Due giorni, varie situazioni molto belle, perfino con gli adulti. Gori, che è venuto più volte, se le è godute quasi tutte. Beppe, che non è propriamente un fotografo, ma un naturalista puro, una sola volta, con scene distanti ma molto interessanti.
Per riassumere, una fotografia naturalistica di grandi sensazioni. L'aquila reale, un superpredatore al vertice della catena alimentare. Un animale raro e localizzato. Che vive in zone molto impervie, a volte irraggiungibili. In quanto tale, nei luoghi che frequenta capita di vederne passare qualche esemplare, ma sempre distante e diffidente. Pertanto, fotografarlo presenta alcune difficoltà, prima delle quali, avvicinarlo a sufficienza. Cosa che è fattibile, ovviamente, con conoscenza ed esperienza. Arrivare sistematicamente alla distanza minima possibile è un'esperienza difficile e non comune, come abbiamo visto, che non lascia indifferenti. Ma qual è questa distanza? Ognuno ha la sua. Per quelli che, sempre con una lodevole scusa, la scienza o la protezione, prelevano i pulli dai nidi e li manipolano, o per chi pratica la falconeria, pochi cm, ovviamente. Oppure qualche metro, nei capanni a pagamento. Ma non c'è nulla di sano nel trovarsi a distanze simili da un animale come un'aquila reale, che in circostanze del genere non è libera, ma in qualche forma assoggettata alla volontà, molto raramente, anzi quasi mai benevola, dell'uomo, perfino talvolta quando mascherata da protezione o sostegno.
Sony A6600, Sony FE 200-600mm f/5.6-6.3 G OSS con Sony FE 1.4x, 1/1000 f/9.0, ISO 2000, mano libera. Giovane sotto la pioggia. Distanza 614m. Obiettivo appoggiato su roccia.
Le distanze a cui fotografo normalmente dipendono dalla mia tecnica. Che consiste semplicemente nello stazionare in determinati posti, come fanno i pastori, scelti in base all'esperienza. Sulla scelta dei posti, e sulle considerazioni relative alla frequenza con cui stazionarvi, si basa tutto. Andare troppo nel posto migliore non aiuta, dopo un po' lo evitano in ogni caso. Bisogna dosare le visite. A seconda del posto scelto si fanno foto differenti, solitamente dal basso. Le aquile, nei luoghi in cui vivono, sorvolano facilmente gli umani che stazionano a quote inferiori (i pastori, ad esempio). Non amano invece stare, loro, a quote inferiori. Peccato, perché le immagini che preferisco sono proprio queste, dall'alto. Perché si vede il soggetto perfettamente, in tutta la sua bellezza. Illuminato totalmente. Ti guarda fisso negli occhi. Li vedi, gli occhi, bene. Non ha parti in ombra. Poi perché trovandosi a quote inferiori, cosa inusuale, le aquile tendono ad avere comportamenti singolari, molto più interessanti che non il semplice sorvolo.
Aquila reale. Giovane disturbato da falco lodolaio, posa su roccia per sfuggire agli attacchi. Distanza di ripresa, 164m (misurati). Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, 1/2500 f/8.0, ISO 1000, mano libera.
In queste condizioni le distanze cui si fotografa sono elevate, dai 70-80 m in su, raramente 50, quota a cui passano invece più facilmente dall'alto. Con le fantastiche attrezzature attuali, i potentissimi supertele, ma soprattutto le moderne fotocamere con risoluzione elevata, si ottengono buoni risultati anche a queste distanze elevate. Per risultati rimarchevoli occorre stare ben sotto i 100m. Ma si portano a casa risultati interessanti anche a distanze molto superiori. Le ho misurate, quest'anno, come spiegherò. Ho fatto scatti anche oltre il chilometro. Chiaramente non sono immagini da copertina. Ma può trattarsi di foto interessanti, in quanto talvolta descrittive di determinati comportamenti e situazioni che osservare direttamente in natura è tanto appagante quanto difficile, dunque per chi ne ha interesse ne mostrerò qualcuna.
Aquila reale. Giovane disturbato da falco lodolaio, posa su roccia per sfuggire agli attacchi. Distanza di ripresa, 164m (misurati). Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, 1/2500 f/8.0, ISO 1000, mano libera.
Ad ogni nidificazione delle aquile poi, le condizioni di ripresa cambiano. Certi aquilotti sono confidenti, volano molto, si allontanano presto dai luoghi ove stazionano. Altre volte invece sono molto sospettosi, molto pigri, e fanno solo brevi voletti vicino al posatoio abituale. Quello attuale era una via di mezzo, determinata anche dal fatto che si è involato il 24 agosto, mentre solitamente lo fanno a metà luglio, e dunque non ha vissuto, se non al nido, situazioni di caldo torrido, che sono quelle che lo invogliano a volare, anche solo per cambiare versante della montagna o posizione, alla ricerca di maggiore ventilazione.
Aquila reale, giovane su posatoio. Canon 5Ds R, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, 1/1250 f/5.6, ISO 200, mano libera.
Le occasioni discrete comunque non sono mancate e qualche buona foto è venuta.
Quello che è mancato sono stati gli adulti. Cioè buone occasioni in cui fotografarli. Ormai li conosco bene, so in quali circostanze arriveranno vicini. Quest'anno è successo due sole volte. La prima, ottima, con Antonio. Un adulto ha fatto un volo dimostrativo territoriale dirigendosi verso di noi. Purtroppo il posto è angusto, e non si può stare in due affiancati, diventa pericoloso. Ovviamente ho dato la precedenza all'ospite, e ho lasciato che la facesse lui. Penso abbia fatto ottimi scatti, a giudicare dalle foto che mano a mano apparivano sul suo display. In un'altra occasione, in cui ero solo, l'aquilotto, attaccato pesantemente da un lodolaio, per evitarlo è stato costretto a posarsi “vicino” (distanza misurata, 164m). A quel punto ho visto la potente femmina, che stava volteggiando, infastidita per la “vicinanza” del suo giovane, puntarmi da 5-600 m e partire decisa verso di me. Conosco a memoria questa situazione, la più promettente, succede 1-2 volte a stagione riproduttiva. Sarebbe arrivata molto vicina, più o meno alla mia altezza come quota, e poi mi avrebbe fatto il volo a festoni. Già pregustavo gli scatti che avrei fatto con l'attrezzatura attuale. Ero pronto. Tele imbracciato nella posizione giusta, maf regolata lontano (molto importante), macchina accesa e avviata con batteria carica, scheda con oltre 2000 scatti disponibili. Prontissimo, aspettavo con quella tensione positiva che precede un'azione importante. Sono rimasto immobile, avrei alzato il teleobiettivo (cosa che le infastidisce) solo all'ultimo istante. Ma, malauguratamente, senza che c'entrasse nulla, un balordissimo corvo imperiale arrivato da chissà dove, ha iniziato ad attaccarla pesantemente (mobbing), sviandola completamente.
Insomma, in tutta l'estate gli adulti non si sono avvicinati mai al di sotto dei 200m. Il che mi ha costretto a lavorare quasi sempre col 2x, con una qualità corrispondente ovviamente non al top, purtroppo, ma comunque molto buona. Pazienza.
A proposito di distanze, stavolta ho potuto misurarle (con apposito telemetro laser Pinmaster Leica). Per cui le distanze che dirò sono abbastanza certe. Alcune sono proprio misurate direttamente, o sul soggetto o sul posatoio su cui si trovava. Quelle in volo sono stimate per confronto con altre posizioni analoghe misurate o punti vicini. Entro i 700m ovviamente, portata massima del mio Pinmaster.
Nello stesso posto convivono altre interessanti specie. Corvidi, innanzitutto. Imperiali, gracchi corallini, taccole, cornacchie. Sono molto interessanti anche loro. Rapaci. Pellegrino, sparviero, gheppio, poiana, lodolaio. Spesso presente falco della regina. E poi, in primavera e da agosto in poi, i migratori. Nibbi, pecchiaioli, falchi di palude, albanelle, falchetti e quant'altro, due volte ho visto il capovaccaio. Non come al passo, ovviamente. Ma giornalmente presenti.
Principali soggetti osservati e ripresi (solo le specie di una certa rilevanza, oppure interagenti con le aquile; altri uccelli, anche interessanti e rari, non riportati)
Aquila reale, adulti maschio e femmina, subadulto, giovane, nell'ordine. Da notare la presenza di sub adulti, che girano spesso, ben tollerati soprattutto quando la nidificazione per qualche motivo non va in porto. Molto meno, giustamente, quando c'è l'aquilotto da sfamare, come quest'anno. Sicuramente figli della coppia. Comunque presente anche in un anno con nidificazione avvenuta, come ad esempio nel 2017 (con prove fotografiche).
Da un punto di vista strettamente fotografico, c'è stato qualche ottimo passaggio da sotto del giovane, anche alcuni molto dinamici e interessanti, qualche scatto passabile agli adulti, ma sempre troppo distanti. Date le distanze di ripresa, maggiore è la focale meglio è. Risultati degni di nota a partire dal 500 moltiplicato, cioè almeno 700mm, fino all'800mm, obiettivo per me ideale (peso e dimensioni, a parte). Qualche scatto interessante anche col 500 duplicato, 1000mm risultanti. Un po' di perdita di qualità, ma accettabile. Anche 600/4 con 1.4x può dare ottimi risultati. Limitato 100-500, per la focale massima troppo corta e la difficoltà dell'af a lavorare moltiplicato. Ottimo anche 200-600, anche moltiplicato, ma con un corpo macchina adeguato.
Aquila reale, maschio adulto nidificante. Grande distanza, 200m. Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 2.0x III, 1/2000 f/8.0, ISO 1600, mano libera
Aquila reale, femmina adulta nidificante. Grande distanza, oltre 200m. Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 2.0x III, 1/2000 f/8.0, ISO 800, mano libera.
Sub adulto di aquila reale, cioè giovane di 2-3-4 anni, sicuramente figlio della coppia presente nel territorio. Negli anni in cui la nidificazione non avviene, ben tollerato dai genitori. Talvolta anche quando la nidificazione è in atto, come in questo caso. Canon 5Ds R, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, 1/1250 f/5.6, ISO 1250, mano libera.
Giovane aquila reale che ha appena avvistato l'adulto e gli vola incontro mentre emette il caratteristico verso, simile al guaito di un cucciolo di cane. Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, 1/2000 f/9.0, ISO 1250, mano libera.
Poiana, diversi esemplari, stanziali e in migrazione. Un paio sicuramente stanziali, non ho certezza di aver ripreso o avvistato giovani. Qualche sporadico esemplare di passo (uno o due).
Fotograficamente, alcuni buoni passaggi sotto di me, e qualcuno buono sopra, uno eccezionale, ma talmente in perpendicolo e sempre col sole accecante dietro, che io o la macchina o entrambi (soprattutto l'ingombro e il peso del sistema, lavorare con l'ottica perpendicolare al terreno è molto oneroso, qui un 100-500 o il 200-600, o l'eccezionale 300/2.8 Sony https://www.alcedo-photo-art.it/blog/leone-admin/sony-fe-300mm-f28-gm-oss-primo-contatto avrebbero fatto la differenza), non ce l'abbiamo fatta.
Poiana in caccia. Grande distanza. Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 2.0x III, 1/2500 f/10.0, ISO 2500, treppiede.
Poiana in perlustrazione. Grande distanza. Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 2.0x III, 1/2500 f/10.0, ISO 1600, mano libera.
Poiana in caccia. Canon EOS R5, Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 2.0x III, 1/2500 f/10.0, ISO 2000, mano libera.
Falco pellegrino, adulto e giovane, stanziali. Più volte un giovane, una sola volta un adulto, della zona. Anni fa conoscevo il nido ingrottato in cui nidificavano, alle spalle del nido dell'aquila. Gli adulti si vedevano spesso e i giovani giornalmente. Ora non credo siano più quelli, ma un'altra coppia che nidifica più a valle. Infatti il giovane si è visto sporadicamente, un paio di volte e un solo adulto una sola volta.
Niente di che, fotograficamente parlando. In questo posto tendono a fare dei passaggi vicini, dopodichè si allontanano. Se si è pronti anche 100-500 o 200-600 possono dare ottimi risultati.
Falco pellegrino adulto in caccia. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/7.1, ISO 500, mano libera.
Giovane falco pellegrino in perlustrazione. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/8.0, ISO 800, mano libera.
Falco della Regina, alcuni individui erratici. Un'unica osservazione, quest'anno, da lontano. Altri anni anche una quindicina di esemplari in un giorno, soli o in gruppo, provenienti probabilmente dalle isole vicine, che talvolta si intravedono nelle foto. Troppo distante la ripresa, non degna di nota.
Falco della Regina in perlustrazione. Sony FE 200-600mm f/5.6-6.3 G OSS a 512mm, Sony A6400, 1/2000 f/7.1, ISO 640, mano libera.
Falco lodolaio, coppia stanziale. Veri folletti del cielo. Una coppia stanziata molto più in alto, vicino ai laghetti nelle zone boschive più a monte, popolati da grosse libellule e altri insetti di cui si nutre e dove credo nidifichi, lo vedo da decenni in loco. Niente giovani, che probabilmente non si allontanano dalla zona di nidificazione. Negli ultimi anni, forse perché trovano meno insetti, si avventurano stranamente in queste zone di pascolo, dove non me lo sarei aspettato, laddove si esibiscono in voli spettacolari, a volte passando anche a 1m di distanza, e radentissimi alle rocce, a tale velocità e con tali evoluzioni da lasciare veramente sbalorditi. Ho preso anche un mezzo spavento, una volta, che uno mi arrivasse addosso o si schiantasse sulla pietra. Veramente a 1m, credetemi. Un altro mi era passato così anche in primavera, ma al passo, avevo fatto appena in tempo ad accorgermene che già era sparito. Nessun altro rapace di mia conoscenza è capace di tali traiettorie a questa velocità. In picchiata senz'altro il pellegrino lo batterà, ma in volo battuto e negli slalom, in assoluto, per me non ha rivali. Come evoluzioni ci si possono avvicinare i rondoni, soprattutto il maggiore, ho visto bei numeri, ma non come velocità, infatti è in grado di predarli, ho letto.
Dal punto di vista delle riprese, cercare di fotografarlo è stato talvolta una grossa frustrazione, ad esempio quando passava in maniera passabile, ma così veloce e con cambi improvvisi di traiettoria che col 500 moltiplicato non riuscivo nemmeno ad inquadrarlo. Ma altre volte è stato un gran spasso, visti anche i risultati. È venuto vicino solo due volte, sempre quando avevo il 500, una volta addirittura col 2x. Impensabile anche solo il tentativo di modificare qualcosa, figurarsi togliere il moltiplicatore. In compenso però faceva diversi passaggi, uno più spettacolare dell'altro. Con la velocità che aveva, ogni passaggio utile durava al massimo qualche secondo. Ad ogni passaggio ravvicinato, il grosso tele quasi sempre non mi consentiva di inquadrarlo il tempo minimo necessario affinché il sistema lo percepisse e agganciasse. Anche in questa situazione sarebbero tornati comodi 100-500 o 200-600 con le loro dimensioni minori. Dopo diversi tentativi ho deciso di non tentare nemmeno di inquadrarlo da vicino, ma solo a distanza. Mi arrivava sia alle spalle che davanti. Ho eliminato anche gli arrivi da dietro, troppo improvvisi, non ero mai pronto, dunque inutile insistere, e mi sono concentrato sulle improvvise apparizioni a distanza e davanti, che potevano avvenire anche da destra e sinistra. Solo così sono riuscito finalmente a centrarlo bene nel mirino, alcune volte davanti e un paio da destra. Ed effettivamente i risultati sono venuti solo grazie alla elevatissima cadenza di scatto della r5, senza la quale non ce l'avrei mai fatta. Alla fine ho potuto realizzare alcune foto che non ero mai riuscito a fare a questa bellissima specie, per me altamente spettacolari. E con una qualità probabilmente già raggiunta anche da altri, ma che personalmente non ho ancora visto, per dinamicità della scena unita a una resa, in generale, elevata dello scatto, di cui vado molto fiero.
Lodolaio Canon EOS R5 - f/10.0 - 1/2000s - ISO1250 - EF500mm f/4L IS II USM +1.4x III
Lodolaio Canon EOS R5 - f/9.0 - 1/2500s - ISO640 - EF500mm f/4L IS II USM +2x III
Lodolaio Canon EOS R5 - f/10.0 - 1/2000s - ISO1250 - EF500mm f/4L IS II USM +1.4x III
Gheppio, un paio di coppie stanziali. Grande crisi per questa specie. Fino a qualche anno fa, ogni estate c'erano almeno una 15ina di esemplari che giravano, provenienti da almeno tre coppie regolarmente nidificanti. Quest'anno una sola coppia certa nella zona delle aquile, e un'altra in un altro versante. Ma niente giovani. Da imputare a mio avviso alla crisi degli insetti, che attua direttamente, come mancanza di prede, e indirettamente limitando la presenza dei vari sauri che se ne nutrono, e di cui i gheppi, a loro volta, si nutrono (sempre più raro vedere un bel ramarro, ad esempio, in questa zona, quest'anno neanche uno).
Nessuna difficoltà nelle riprese, il gheppio è sempre piacevole da fare. Con qualunque ottica, il suo volo lineare e prevedibile aiuta sempre. Timidissimo il maschietto, che non si è mai avvicinato. La femminuccia invece un po' di confidenza me l'ha data, e qualche scatto passabile è venuto.
Gheppio, femmina adulta in perlustrazione Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/5.6, ISO 320, mano libera.
Sparviere, almeno 2 esemplari adulti stanziali. Probabile provenienza, un vicino boschetto. Si vedono con continuità da una 15ina di anni. Prima mai visti. Ogni tanto fanno una puntatina sui pascoli. I giovani, se ci sono, probabilmente rimangono al sicuro nel bosco. Ma mai visti. E non si vedono incrementi anno dopo anno.
Sempre singolo individuo, il maschio e/o la femmina, non ho elementi per stabilire il sesso o se fosse sempre lo stesso soggetto o un altro. È venuto diverse volte, ma si è avvicinato sufficientemente in due sole occasioni, dall'alto, in cui tra tanti scatti solo pochi sono venuti. Anche lui faceva un sacco di evoluzioni e tenerlo nel mirino con 700mm di focale (e circa 5kg di peso) non è stato uno scherzo. Tutte le volte in cui compariva dal basso invece non si avvicinava mai. Magari era un altro esemplare più guardingo. Comunque sono soddisfatto anche di questi scatti.
Sparviere adulto in perlustrazione. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/8.0, ISO 1000, mano libera.
Avvoltoio grifone, svariate decine di esemplari, adulti e giovani, ormai stanziali. Immessi a più riprese nel corso degli ultimi 20-30 anni. Anche quelli rilasciati in altre aree, dopo un po' si sono spostati qui, per cui ora la colonia è veramente numerosa. Rompono la monotonia quando non si vede nulla. Ce n'è sempre qualcuno in vista e, fra uno scatto e l'altro, ci si annoia meno. Altre volte invece innervosiscono. Quando non si vedono le aquile per un bel po', non appena si scorge una sagoma lontana si ha sempre la speranza che siano loro. Grande delusione invece, se si tratta di grifoni.
Facilissima la ripresa. Alcuni sono talmente imprintati e confidenti che a volte passano a 5m. Fare buone fotografie, soprattutto in estate, è un altro paio di maniche, perché basta un po' di sole che l'aria si sporca, e allora l'impastamento, col fatto che preferiscono muoversi grazie alle correnti termiche e che dunque vi sono sempre all'interno, è garantito. Tuttavia, diversamente dal solito, questa estate ci sono state più volte condizioni di aria passabile, per cui qualche risultato si è visto. Tecnicamente, pregevoli sia scatti dalla parte inferiore che dalla parte superiore. Grazie al volo abbastanza prevedibile, ottimi risultati perfino con 200-600 e a6600, col suo inadatto mirino laterale. In certe situazioni sono riuscito a fare buoni scatti anche in medio formato, con 300 e 400mm. Sempre elevatissimi i risultati con 500 moltiplicato ed r5.
Grifone in perlustrazione. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/5.6, ISO 640, mano libera.
Grifone in perlustrazione. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/5.6, ISO 400, mano libera.
Avvoltoio grifone di Rüppell, un solo esemplare adulto erratico, ormai stanziale. Non credo possa essere un animale in cattività fuggito da una voliera, in quanto abbastanza sospettoso ed elusivo. Originario delle pianure africane, arrivato probabilmente in erratismo da Gibilterra. Comparso inaspettatamente, da qualche anno staziona stabilmente nella colonia. Siccome è uno solo, l'attenzione, e le ricerche per avvistarlo, sono tutte su di lui. In effetti ha un piumaggio molto diverso dai grifoni propriamente detti, e anche lui, o la sua ricerca, quando i grifoni sono troppi, tornano utili per rompere la monotonia di certe giornate piatte.
A volerlo fotografare, la difficoltà è soprattutto incontrarlo. A me, che comunque a volte neanche li guardo i grifoni, per non perdere la concentrazione e non distrarmi dalle specie che mi interessano e che ricerco maggiormente, è capitato solo 2 volte. Fotografarlo mi è stato possibile solo quest'anno. Tende a rimanere sempre più lontano, per cui occorre la focale più lunga possibile. Ciò potrebbe essere dovuto all'origine realmente selvatica di questo interessante esemplare, che si mostra in perfetto ordine e in ottima salute, come prova la perfezione del piumaggio. Non tutti i grifoni invece sono nelle stesse invidiabili condizioni.
Grifone di Rüppell in perlustrazione. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/8.0, ISO 800, mano libera.
Corvo imperiale, 30ina di individui stanziali. Animale stranissimo, almeno in zona. Alterna annate di magra, in cui vedi sempre e solo la solita diffidentissima coppia, più difficile da riprendere delle stesse aquile, a veri e propri boom demografici, come quest'anno. Passavano a stormi, a volte anche vicini. Anche qui peggio dei grifoni. Fare una buona foto sembra impossibile. Fra l'aria calda sempre presente, il colore del piumaggio che più nero non si può e l'occhio nerissimo (ma c'è chi li batte), trovare la condizione in cui ne viene bene uno è un terno al lotto. Come tutti gli uccelli di grandi dimensioni, da soli o in coppia, diffidenza alle stelle, in gruppo invece molto più confidenti. Quest'anno, essendo molti, a volte passavano a gruppetti di 8-10, e qualche scatto ravvicinato se lo sono lasciato fare, ma quasi invano, come spiegato. Ideale il 100-500, a mio avviso, per l'estrema manovrabilità quando si avvicina. Da lontano con focali più lunghe, in questo posto, col caldo che fa e la roccia ovunque presente, quasi inutile tentare, non viene mai bene.
Corvo imperiale. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/10.0, ISO 1600, mano libera.
Gracchio corallino, colonia, 40ina di individui stanziali. Mai visti, come lo sparviero, fino a una 15ina di anni fa. Poi ne sono comparsi una manciata e si sono stabilizzati a una decina di individui. Quest'anno anche loro in boom, circa 40 soggetti, che ti sorvolano in alto e in basso continuamente. Sono molto confidenti. Non come in certi rifugi alpini dove si posano a 1m a elemosinare cibo e sono fattibili bene in volo col cellulare. Qui, se anche ti vedono mangiare un panino, non si avvicinano assolutamente. Ma comunque, rispetto agli uccelli presenti, sicuramente sono tra i più confidenti. Con loro è peggio dei corvi imperiali. Ancora più neri. Occhio praticamente invisibile. Ne vedi uno a 20m quasi fermo mentre plana, luce ottima, aria fresca, l'af lo aggancia benissimo, fai una raffica con una macchina eccellente che mette a fuoco tutto. Guardi le foto… una delusione. Tutte impastate. Al di là del discorso colore e occhio nerissimi, qui ci sarebbe almeno il becco rosso. Ma niente, 99 su 100 non trovi mai uno scatto degno. Forse l'af con quel nero si inganna, non so, l'aria sporca. Moltissimi scatti (momenti di stasi ce ne sono tanti…), pochissime foto, e scarse.
Stesso discorso del corvo imperiale. Meglio 100-500 e scatti ravvicinatissimi, per minimizzare l'effetto dell'aria calda.
Gracchio corallino in perlustrazione. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM con Canon EF 1.4x III, Canon EOS R5, 1/2000 f/5.6, ISO 400, mano libera.
Gracchio corallino in perlustrazione. Canon EF 500mm f/4 L IS II USM, Canon EOS R5, 1/2000 f/5.6, ISO 400, mano libera.
Taccola, colonia, un centinaio di individui stanziali. Amo molto questo corvetto dagli occhi bellissimi, fin dall'infanzia. Nella mia città c'era un antico forte dove nidificavano a centinaia. E c'era un barbone pazzo che, rischiando la vita, in primavera si arrampicava sul muro di cinta e prelevava decine di piccoli che poi ritrovavi in un negozio di animali a 500 lire, da allevare a mano. Allora era molto comune averne una imprintata in casa. Nome più comune, Paola, dal nome dialettale, ciavola, e dal verso simile. Qui ci sono da sempre, nidificano sulla stessa parete dell'aquila, con cui interagiscono parecchio e che a volte, nei momenti di magra assoluta, le preda. Ne vedi poche per volta e pensi siano drasticamente diminuite, e te ne dispiaci, come sempre quando una specie arretra. Invece capita la volta che sono tutte insieme e vedi che più o meno son sempre loro, e tiri un sospiro di sollievo. Mi è capitato spesso, anche quest'anno. Begli scatti quando mobbano l'aquilotto. Mimmo ne sa qualcosa, gli hanno riscattato il viaggio.
Non si avvicina mai tanto, per cui focali più lunghe possibile. Da vicino, come sopra, 100-500. Da lontano invece tutto, anche l'800.
Cornacchia, 3-4 individui. Crollata la popolazione, almeno in questa zona, probabilmente per la concorrenza di Corvi, Taccole e Gracchi. Non mi dispiace più di tanto, non amo questa specie, che considero un pesante indicatore di degrado ambientale.
Falco di palude, diversi esemplari m,f,g, in migrazione
Falco pecchiaiolo, diversi esemplari m,f,g, in migrazione
Tecnica fotografica
Fotografare le aquile, correttamente, come abbiamo visto, non è uno scherzo. In situazioni libere, in cui le aquile cioè non vengano attirate in alcun modo, le occasioni sono sempre pochissime. Questo obbliga a non sprecare quelle poche chance concesse da questi nobili e guardinghi animali. Pertanto, oltre alle tecniche di avvicinamento, l'uso di attrezzature adeguate risulta indispensabile.
Attualmente, le attrezzature adeguate sono supertele, moltiplicatori, corpi macchina mirrorless prestanti. Nel tempo questo ha significato avvicendare attrezzature diverse mano a mano che miglioravano, più o meno a ogni decennio. Nel tempo abbiamo avvicendato le seguenti attrezzature.
Dai Novoflex 280-400-600 e duplicatore Tex degli anni 70.
Al Nikkor 600/5.6 IF-ED con moltiplicatori TC14B e TC301, poi Nikkor 500/4 Ai-s e Sigma Apo 1000/8 degli anni 80.
Nikkor 500/4 Af-i, Canon EF 300/2.8, 500/4.5L e 600/4L, poi 500/4is e 600/4is degli anni 90-2000.
Agli eccezionali, e ancora attualissimi, 800/5.6is e 500is2 degli anni 2010-2020, con 3 serie di moltiplicatori, di volta in volta correlati. Infine il recente gioiello Sony 200-600 e relativo 1.4x. L'evoluzione di questi obiettivi ha portato via via una diminuzione dei pesi e, contemporaneamente, un aumento costante e visibile delle prestazioni, proprio in termini di resa delle immagini finali prodotte.
In relazione alle focali, già nel mondo dell'analogico, a partire dal Nikkor 600, ho sentito sempre l'esigenza di un secondo supertele più spinto, che nel caso è stato l'ottimo Sigma Apo 1000/8. Poi ancora, ai vari 500 ho associato il 600/4L e il 600/4 L is, che usavo sempre con tc 1.4x, fino allo strepitoso 800/5.6 L is che, inizialmente, pur possedendolo ancora, mi fece accantonare del tutto il 500is (ancora pesante e troppo vicino ai 4.5kg dell'800). 500mm che tornò in auge col fantastico modello is2, un vero capolavoro, tuttora qualitativamente insuperato, perché sensibilmente più leggero dell'800, e non solo, come vedremo. E forse addirittura insuperabile anche nel futuro, almeno con le tecnologie attuali, come resa finale. Anzi, i nuovi sembrano addirittura inferiori.
Il motivo del secondo supertele era inizialmente legato all'uso che ne facevo al tempo. A seconda della difficoltà della postazione da raggiungere, sia in termini di distanza che di durezza del percorso. E poi delle distanze di ripresa previste. Come abbiamo visto, se le aquile si fotografano dal basso, nei luoghi giusti, è più facile che la distanza sia minore e allora il 500, eventualmente moltiplicato, basta. In realtà non basta mai, ce lo si fa bastare. Se si fotografano dall'alto, invece, non gradiscono molto, e si avvicinano meno. Allora torna utile qualcosa di più lungo. Il 600/4 moltiplicato, o l'800mm. La scelta dell'800mm era dettata anche dalla mia preferenza di moltiplicare il meno possibile, in quanto l'aggiunta degli extender toglieva molto smalto, sia alla resa finale che al brio dell'af, per cui in questo tipo di fotografia, come vedremo, meno si moltiplica meglio è.
Il Sigma Apo 1000, i 600/4 L e is, li usavo necessariamente su cavalletto. Dall'800 in poi, almeno per un decennio, per i motivi che spiegherò, l'uso invece è stato sempre a mano libera.
Mano libera vs cavalletto (da saltare, non leggere, molto pesante!)
Adoro il cavalletto. Proprio come oggetto. E tutti i suoi accessori. Ne ho diversi, per ogni diversa situazione, dai 100g del Manfrotto 209, ai 6 kg del metallico e roccioso Velbon Mark-7G LV. E relative teste. Tuttavia, se anche in questa fotografia il suo uso potrebbe sembrare ideale a causa delle caratteristiche dei grossi supertele, in realtà non è esattamente così.
Il fatto è che si tratta di una fotografia altamente dinamica e, avendo scelto di fotografare animali totalmente liberi e non attirati in alcun modo con cibo e altri artifici, i soggetti sono completamente svincolati da qualunque scelta indotta e dunque, in poche parole, fanno quello che vogliono. Ne consegue che spesso non è possibile neanche prevedere da dove arriverà il soggetto che aspettiamo. Né come quota, né come direzione. Il soggetto, che come vedremo non è solo l'aquila, ma tutta una serie di altri rapaci interessanti o anche molto interessanti, può presentarsi a quota inferiore (eccellente situazione) o superiore alla nostra (peggio, per problemi di controluce e di bellezza intrinseca della foto). Oppure provenire da dietro o davanti, da sinistra o da destra, e sempre, più in alto o più in basso di noi. Avere il tele su cavalletto comporta una scelta inziale abbastanza rigida riguardo alla quota. Un po' meno rispetto alla direzione. Qualche volta, a seconda del tipo di treppiede (con quelli senza colonna centrale, no), è possibile cambiarne al volo anche l'altezza, ma se e solo quando vediamo il soggetto arrivare da lontano e se ne ha il tempo. In ogni caso, non si è mai in piano e non è possibile girare liberamente intorno al treppiedi orientando l'obiettivo come si vuole, quindi anche riguardo alla direzione, col treppiede ci sono limitazioni. E comunque non è mai buono stare lì a trafficare. L'ideale infatti è rimanere immobili fino all'ultimo istante, soprattutto con soggetti isolati. In quanto vedere un umano che scatta in piedi e comincia ad armeggiare rapidamente con grossi oggetti metallici, non piace mai ai nostri soggetti. Che solitamente a questa scena scartano di lato, così aumentando ulteriormente la distanza, che di solito è già elevata. Insomma, il cavalletto impone una serie di rigidità e scelte iniziali che limitano fortemente la manovrabilità, per cui l'uso ideale rimane a mano libera. Anche perché spesso, queste scelte iniziali, per forza di cose totalmente aleatorie, poi sul campo non sempre si rivelano azzeccate. Una soluzione che avevo trovato, era di collocare l'800mm sul cavalletto con lo spallaccio montato. In alcune occasioni (ad esempio con la predazione della volpe), vista la situazione, ero riuscito al volo a sganciarlo e usarlo a mano libera. Ma i pesi in gioco sono troppo elevati, cavalletto, gimbal, spallaccio (quello dell'800mm poi è in acciaio e si avvicina pericolosamente al chilo). Alla fine mi ritrovavo carico come un mulo e la schiena, già problematica di suo, a fine giornata era a pezzi. Molto diversa, e ottimale, la situazione al passo, in cui le direzioni e le quote da cui arrivano i soggetti sono molto più prevedibili. Per questo motivo utilizzo il medesimo obiettivo, il più pesante, l'800mm, al passo su cavalletto, alle aquile a mano libera. Anche perché poi, al passo il cavalletto lo porta l'auto. Quando arrivo, scendo, lo piazzo e via. Invece alle aquile occorre portarselo a spalla e, per leggerissimo che sia (quelle rare volte porto il Gitzo 2940 con testa a bilanciere) alla fine con la gimbal diventano 3 kg. Per cui, in queste situazioni, il cavalletto è usabile, ma fotografare a mano libera risulta sempre preferibile.
D'altra parte, l'uso a mano libera, non è esente da problematiche. Una su tutte, le caratteristiche dell'attrezzatura da sorreggere. La massa innanzitutto, ovviamente. Ma non solo. Anzi, in realtà, non è tanto la massa il problema principale, o la corrispondente inerzia, ossia di quanto essa si oppone ai cambiamenti di velocità, dunque la forza da applicare per traslare la massa stessa. Infatti, praticamente nessun movimento utile può essere di pura traslazione, ma è sempre un misto di traslazioni e rotazioni. E in fotografia di rapaci si tratta quasi sempre di queste ultime, anche grandi. E allora, essendoci le rotazioni, entra in campo la controparte rotatoria dell'inerzia, il momento d'inerzia, ossia di quanto si oppone una massa ai cambiamenti di velocità angolare o, più terra terra, l'azione che bisogna produrre per ruotare un corpo. Questa, soprattutto dal punto di vista dei calcoli, dipende da cose complesse (asse di rotazione, distribuzione della massa, distanza dall'asse di rotazione, etc.) ma, sempre molto terra terra, alla fin fine dipende dalle dimensioni e dalla forma del corpo.
Insomma, a parità di massa e di movimento da effettuare, entrano parecchio in gioco le dimensioni e la struttura interna dell'obiettivo, ossia come sono distribuite le lenti. Se questo, pur pesante, è però piccolo e raccolto, il momento d'inerzia sarà piccolo e, se ce la si fa a sostenerlo, l'insieme sarà maneggevole. Se invece l'obiettivo è di grandi dimensioni e la massa di cui è composto è molto distribuita e non concentrata, allora il brandeggio risulterà molto più oneroso. Quando è venuto Antonio ci siamo scambiati macchine e obiettivi, per cui ho usato un po' il 600is2, il miglior 600 mm mai prodotto da Canon. Si tratta di un gran obiettivo, letteralmente. Abituato ormai da anni all'uso del meraviglioso 500is2 ho potuto verificare la scelta fatta inizialmente tra 500is2 e 600is2. La differenza di prezzo era, relativamente, minima, 700€. E prendendo il 600is2, volendo avrei potuto razionalizzare e dar via l'800mm. E invece, a ragion veduta, optai ancora per il 500mm, il sesto in carriera, dopo il Sigma, i 2 Nikon e i due Canon, e tenni l'800mm.
Il fatto è che il fantastico 600is2 è più pesante di 730g, non tantissimo, tutto sommato. Ma è più lungo di 7cm e più largo di 2. Ciò che ne cambia notevolmente il brandeggio. Per non parlare dell'aggiunta del paraluce, 430g, ma 100g più pesante di quello del 500is2 e soprattutto ben altri 4 cm più lungo. Quindi alla fine la differenza diventa 830g e ben 11cm.
Insomma, poche centinaia di grammi e qualche cm di differenza non sembrerebbero tanti, sulla carta. In effetti, se si tratta solo di sollevare e trasportare, è così. Ma nel brandeggio gli effetti di lunghezze e masse si compongono, e il risultato è una differenza di momento d'inerzia sensibile. Ma sul 500mm c'è l'aggiunta del moltiplicatore, si potrebbe obiettare, altre centinaia di grammi e millimetri. Ecco, in termini di geometria delle masse, esso risulta addirittura positivo, nel senso che, aumenta sì la massa, dunque l'insieme risulta un po' più pesante ma, essendo situato posteriormente, dall'altra parte del c.i.r. (centro di istantanea rotazione, il punto intorno al quale il sistema ruota, rappresentato nel caso dall'attacco al cavalletto) in realtà crea un momento contrario che produce un effetto benefico nei confronti della rotazione. Dunque si brandeggia ancora benissimo.
Ad esempio, seduti, per essere comunque meno visibili, il supertele sulle gambe, all'arrivo di un soggetto si inquadra velocemente e si scatta. Ma, a parità di direzione, se il senso (sempre del moto del soggetto) è opposto a quello in cui è orientato il nostro obiettivo appoggiato, tutto bene. Se invece il senso è lo stesso, il sistema fotocamera-obiettivo va ruotato di 180°, o di quello che è, e allora si sperimenta facilmente la differenza tra imbracciare un 500/4 o un 600/4. Il 600/4 è sensibilmente più impegnativo del 500/4. Quindi, in base a quanto visto, le differenze sono molto più marcate di quanto qualche etto e qualche cm in più facciano pensare. Questo è un altro motivo che mi trattiene dal dare via i due supertele e prendere, più o meno alla pari, un magnifico Sony 600/4. Pesando solo 3 kg, ha un gran vantaggio sugli altri 600/4 di generazioni precedenti, ma gli ingombri sono sempre gli stessi, dunque è comunque più facile da gestire, ma non quanto si crede, e comunque tutte le considerazioni fin qui fatte, sono confermate. Cosa ugualmente valida nel confronto col 500/4, 200g più pesante, ma che per i motivi esposti, essendo più raccolto, risulta sempre, comunque, più facilmente brandeggiabile. Per soli 100mm di differenza, e parecchie migliaia di euro da sborsare, me ne faccio una ragione.
Il manico
Poi c'è l'ineliminabile elemento umano. Cioè quello che va sotto il nome di manico. Che non è solo la capacità di inquadrare e scattare, che ovviamente non può mancare. È anche un sacco di altre cose, che possiamo sintetizzare col sapersi trovare al posto giusto nel momento giusto, nel giusto modo (fermi, mimetizzati o comunque non appariscenti). Dal mio punto di vista, dopo tanto tempo, queste ultime cose probabilmente non mi mancano. L'altra, la capacità di inquadrare e scattare rapidamente e convenientemente con attrezzature molto grandi e pesanti, alla mia età e coi miei acciacchi, e se mai l'ho avuta, è quella al momento meno presente. Soprattutto i primi giorni, quando, nel mio caso, visto che faccio foto di questo tipo molto di rado, la mancanza di allenamento si fa sentire maggiormente. Questa cosa, l'allenamento, non va sottovalutata. Per brandeggiare un complesso tra 4 e 5 chili, col 500mm sempre moltiplicato, e oltre 6 con l'800, con movimenti ampi e in tutte le direzioni, una certa preparazione ci vuole. Ma le bellissime scene regalate da questi meravigliosi animali accendono la passione, che prende il sopravvento, e allora le escursioni quotidiane fanno riaffiorare abilità ormai sopite, soprattutto con gli ultimi anni di stasi. Insomma dopo un paio di uscite, a furia di scattare, appunto per allenarmi, a qualunque cosa comparisse all'orizzonte, persino grossi insetti, farfalle, ma più solitamente piccioni torraioli (impossibili), colombacci, tutti i tipi di corvidi, rapaci vari, a qualunque distanza e da qualunque quota/direzione si presentassero, un po' di forma è tornata, e così alcune situazioni interessanti sono riuscito a non mancarle.
Anzi, dopo un po' non mi sembrava vero. Ero talmente sul pezzo che riuscivo a inquadrare alla perfezione i soggetti all'istante, ma soprattutto a seguirli finché erano a tiro, anche a lungo. L'aquilotto, soprattutto, faceva dei percorsi in cui, data la conformazione delle rocce, passando radente alla parete sottostante, che non era piatta ma rientrante verso il basso, compariva e scompariva continuamente, a volte anche per un lunghissimo minuto. A volte, dopo aver aspettato un bel po', non compariva proprio, e lo vedevo poi a 500m sbucare dal nulla. Quando era particolarmente vicino poi, la tensione, la voglia, l'attesa, la speranza di un passaggio importante, annullavano pure l'effetto dell'acido lattico sulle braccia, e continuavo a scrutare le varie possibili finestre fra le rocce in attesa che comparisse, con tutta l'attrezzatura imbracciata. Cosa che per fortuna qualche volta è avvenuta, con successo.
Quindi il consiglio, se si vanno a fare animali importanti, qualche volta irripetibili, oltre a studiare i soggetti fino a conoscerne molto bene il comportamento, è anche di prepararsi correttamente all'uso dell'attrezzatura, anche fisicamente. Il che significa anche studiarsela bene. Non necessariamente tutte le 1000 pagine di un manuale. Ma le impostazioni che vogliamo/dobbiamo utilizzare, sì. Conviene essere in grado di gestire e richiamare tutte le impostazioni necessarie possibili. Tutte le volte che non l'ho fatto, ho pagato pegno. Sul campo, se si tratta di soggetti pregiati, conviene concentrarsi su di loro, mentre l'uso dell'attrezzatura dev'essere praticamente automatico. Quindi, una volta in posizione, macchina regolarmente impostata e pronta all'uso. Obiettivo a fuoco lontano, mai da vicino (in quanto, oltre a impiegare molto più tempo, a volte il sistema non riesce proprio a mettere a fuoco e, anche se raramente, si può impallare). Un altro consiglio riguarda lo scatto, tanto più se in zone impervie e pericolose. Come preparazione, provare anche a scattare in tutte le posizioni. Ossia proprio simulare i vari possibili arrivi dei nostri soggetti, alzandosi in piedi e provando materialmente a scattare dalle varie direzioni possibili, memorizzando bene i movimenti da fare, ma soprattutto quelli da non fare. A seconda di dove ci si trova, può essere molto utile oltre che per le riprese, anche per la propria incolumità personale.