Retrospettiva Pentax KX

Retrospettiva Pentax KX

Vintage

Leone

Le mie prime fotocamere
A metà anni 70, le mie fotocamere erano una Kodak Instamatic 50 ricevuta in regalo per la prima comunione, e una Voigtlander Vitoret di mio padre. Non le usavo granché, ma di tanto in tanto, in occasione di qualche evento familiare, si tiravano fuori. La fotografia serviva per documentare ricordi ed avvenimenti. Con la crescita, l’autonomia e la presenza in loco di posti selvaggi e meravigliosi che amavo molto, mi chiesi come poter interagire con questi ultimi. E così, prima lentamente, poi impetuosamente, arrivò la fotografia. Poiché ero bravo a muovermi in questi posti e a trovare animali, lo sbocco naturale era la fotografia di questi luoghi e dei loro abitanti, dunque iniziai a studiare la cosa. Totalmente sprovveduto cominciai a girare per negozi, e a leggere qualche rivista del settore, unica fonte di conoscenza possibile. Comprai anche un libro con i primi rudimenti. Comprendendo che l’attrezzatura adatta era una reflex monobiettivo. E che i costi necessari superavano di gran lunga le mie possibilità. Un teleobiettivo adeguato e un corpo macchina proporzionato (e decenti) costavano milioni di lire, spese che non potevo certo affrontare, da studentello qual ero. Però il tarlo aveva già cominciato a lavorare. E così fu. Niente “caccia fotografica”, almeno per il momento, ma solo semplice fotografia.

Pentax KX

Il primo acquisto fu dunque una splendida Pentax KX nera fiammante, 250.000 lire con 50/1.7 e borsa pronto, non poco per le mie finanze del tempo. Il 50/1.7 era della serie M, quella compatta delle Pentax MX ed ME, (niente male, ma col tempo riuscii a procurarmi la versione K originale, con luminosità f1.8). Presi questa macchina da Matuella, negozio leggendario di corso Buenos Aires, purtroppo non più presente, insieme a molti altri che allora andavano per la maggiore. La scelsi soprattutto perché c’era in atto una promozione, dovuta al fatto che usciva di produzione per far posto alla serie M. E anche perchè, come mi spiegò il signor Dario, capo commesso anziano con cui nacque subito una reciproca simpatia, non era una macchina entry level né una superprofessionale, ma un corpo robusto e con tutto quello che serviva per fare belle fotografie. Diapositive, nel mio caso, le più belle disponibili e tuttora insuperate, Kodachrome 25.

Dopo il primo rullino, comprai anche un proiettore per diapositive, questo sì davvero economico, un GAF.

Tre delle quattro fotocamere della serie K. Manca la KM, un modello intermedio poco interessante
La Pentax KX era il modello di punta con esposizione manuale della ottima serie K, successiva alle mitiche Spotmatic, nel 1975, quando Pentax decise di passare dall’ormai superato innesto a vite, a quella che diventerà la famosa baionetta K, appunto. Le fotocamere della serie K (K1000, KM, KX, K2) erano un po’ più grandi e pesanti rispetto alle precedenti, ma avevano prestazioni nettamente superiori. A parte la K1000, che sopravvisse a lungo come modello economico del marchio, e nonostante l’elevata qualità generale unita a un prezzo di vendita molto equilibrato, ebbero vita breve, solo dal 1975 al 1977.
Negli anni 70 l'innovativo, per forme e prestazioni, sistema OM, fece ingresso nel mondo delle reflex, rivoluzionandolo. Soprattutto le forme colpirono, per la bellezza e le dimensioni, e tutti dovettero adeguarvisi
Soppiantate, ma solo esteticamente, dalle compattissime e leggere MX ed ME, senz’altro più accattivanti e al passo con le star del momento, le rivoluzionarie Olympus OM.

Ma non mi importava, ero felicissimo del mio acquisto. Iniziai a fotografare tutto quello che capitava, soprattutto paesaggi naturali (e fidanzate dell’epoca).

Pentax KX, con 55/1.8 serie K, il "suo" obiettivo
Una macchina fantastica. Mi piaceva tutto di lei. Tanto per cominciare la livrea nera. Che non era come quella di tutte le altre macchine nere, di solito meno brillanti o addirittura un po’ opache. La vernice nera delle Pentax del tempo era diversa. Sembrava più una laccatura. Il risultato era una brillantezza estrema, un nero puro profondo, lucidissimo, con scritte bianche che contrastavano molto, veramente accattivante.

Poi la struttura robusta. In mano ti dava una sensazione di solidità notevole, un po’ per il peso non indifferente (vicino al chilo con la macchina completa di borsa pronto, e 864g con obiettivo 55/1.8; ben diverso dalla Vitoret, o dalla Instamatic 50 di vecchia memoria). Ma anche perché ogni tasto, ogni rotella, l’apertura del dorso, avevano una resistenza giusta, ciò che restituiva un’impressione di forza e robustezza.

Una macchina semplice e facile da usare, ma in realtà molto completa e avanzata, per i tempi.

Aveva diverse chicche, infatti.


Un eccellente mirino, per cominciare, con molte informazioni disponibili a colpo d'occhio. Molto luminoso, con al centro quello che diventerà il mio ausilio alla maf preferito, un bel cerchio di microprismi. Microprismi che, grazie alla generosa luminosità, rimanevano ben attivi e utili fino a f4. Cosa non scontata in altri sistemi, anche con corpi macchina più blasonati e costosi, col centro del mirino che si oscurava o che comunque, pur raggiunta la maf corretta, non rimaneva perfettamente limpido e trasparente, proprio per la presenza dei microprismi, o del telemetro a immagine spezzata.

Per questo, al diminuire della luminosità dell’ottica montata, coi sistemi analogici a fuoco manuale, quando occorre focheggiare, consiglio di curare il più possibile l’allineamento dell’asse dell’occhio col centro del mirino (in parole povere mettere bene l’occhio al centro). Questo perché, se lo si inquadra con un certo angolo, anche quando la corretta maf è stata raggiunta, se il sistema di messa a fuoco non è sufficientemente luminoso, permangono fastidiosi puntini che peggiorano l’esperienza di maf. Invece, centrando al meglio, al raggiungimento della maf corretta, i microprismi scompaiono totalmente, segnalando il fuoco perfetto.

Mirino con tutte le informazioni necessarie, dicevamo. Che, in tempi di poca o nulla elettronica, erano principalmente due, tempo di scatto e diaframma. Soprattutto quest’ultimo, non così diffuso al tempo, visibile grazie a una finestrella che lo leggeva direttamente sull’obiettivo. Neanche la più costosa e importante Pentax K2 era così completa, mancando infatti proprio della lettura diretta del diaframma. Una volta impostata la sensibilità della pellicola in uso, l’esposizione dipendeva da questi due soli parametri. Il diaframma, visibile dalla finestrella posta in alto, e il tempo, su una scala posta sul lato destro del mirino. Dando priorità al tempo di scatto, dopo averlo impostato, bastava scostare un poco la bellissima leva di carica (su cui torneremo a breve) e premere a metà il pulsante di scatto per attivare l’esposimetro, con indicatore ad ago. Grazie all’ago appunto, in base alla luce della scena, era possibile individuare il diaframma necessario. Bastava ruotarlo fino a far coincidere l’ago con l’indicatore dei tempi, il cui accoppiamento segnalava la corretta esposizione.

Leva di carica di tipo additivo. Il caricamento può avvenire, a scelta, con un unico movimento, oppure con piccole rotazioni successive. Coassiale all'asse della leva di scatto, il contapose. Poi il pulsante di scatto, con intorno levetta di blocco. E ancora l'impostazione dei tempi e la slitta flash a contatto caldo.

Due parole sulla leva di carica, altra chicca di questa fotocamera. Per armare l’otturatore, occorre ruotare la leva di carica fino a fondo corsa. Questo può essere fatto con un unico movimento (scomodo se l’angolo di rotazione è molto ampio) oppure, con le fotocamere che lo consentono, con piccoli movimenti successivi. In pratica si ruota un pochino, si lascia tornare in posizione la leva e si ruota un altro pochino, etc., finché il movimento non è completo. La cosa evitava di slogarsi il pollice, soprattutto nei casi in cui, pur senza necessità di fare raffiche, si scattava molto. E anche di forzare la leva. Questa funzione della leva con carica additiva l’avevano solo le fotocamere più complete. Come la KX, appunto.

L'otturatore della KX, a dorso aperto. Di tipo meccanico, con tendine gommate a scorrimento orizzontale. Tempo di sincronizzazione flash lento, per questo, 1/60s

Otturatore di tipo meccanico, a scorrimento orizzontale, realizzato da Pentax stessa in tessuto gommato. Essendo meccanico (e non elettronico), tutte le velocità dell'otturatore sono comunque disponibili indipendentemente dal fatto che la fotocamera abbia o meno le batterie. Essendo lo scorrimento tendine orizzontale, ne deriva un tempo di sincronizzazione del flash elettronico abbastanza lento, comune a tutti gli otturatori di questo tipo, 1/60 di secondo.

L’esposimetro era molto buono. Con una buona sensibilità, da 1 a 18 EV.

Innanzitutto con cellula al silicio. E non al solfuro di cadmio (CdS) come le più economiche K1000 e KM. Le cellule al silicio sono più reattive e non soffrono “l’abbagliamento” o l’effetto “memoria” come quelle, comunque diffusissime al tempo, al CdS. Queste ultime, infatti, nel caso di un’inquadratura con luci molto forti (esempio il sole), per un po’ risentono di questa intensità luminosa elevata, fornendo letture non affidabili. Ma niente di grave, dopo alcuni secondi sono di nuovo attive.

Come in tutte le Pentax, la misurazione è ponderata al centro.

Altra chicca meccanica, un pulsante dedicato al sollevamento dello specchio. Utile in tutte le situazioni in cui il tempo di scatto non è breve e pertanto si utilizza la macchina su cavalletto. Ad esempio scatti a distanza con lunghi tele, o macro spinta, laddove il sollevamento dello specchio indurrebbe deleterie vibrazioni che potrebbero causare effetti di mosso.

E ancora, altro comando meccanico per l'anteprima della profondità di campo. Premendolo, il diaframma si chiudeva al valore impostato permettendo di visualizzare la zona nitida. Infine l’immancabile autoscatto, anche lui meccanico, non escludibile, una volta avviato.

La KX in versione motorizzata, con portabatterie a pistola. Una soluzione molto ingombrante, pesante, e alla fin fine anche scomoda. Fortunatamente nei modelli successivi serie M, il winder non aveva più l'enorme portabatterie.

La KX non aveva l'attacco per il winder. Esisteva però una versione speciale e molto rara, la KX Motor Drive. Poteva montare un motore con impugnatura a pistola. Faceva 3 fotogrammi al secondo, ma l’insieme era pesante e costoso. Al tempo, nei migliori negozi di Milano, che frequentavo abbastanza, non la vidi mai e neanche sapevo esistesse. Per questo, non credo sia mai stata importata, se non in piccolissime quantità, distribuite in maniera non uniforme. Tempo fa ce n’era una cromata in un negozio di Milano.

E ancora, come presa sincroflash massima completezza: contatto caldo, presa sincro X e FP (per flash da studio)

Alimentazione: due batterie alcaline tipo LR44 o equivalenti all'ossido d'argento;

Il cambio delle lenti è molto semplice, e dal lato giusto, quello destro. Con la destra impugni la macchina e premi il pulsante di sblocco, con la sinistra ruoti e monti/smonti l’ottica.

Indicazioni nel mirino: corretta esposizione, sovra e sottoesposizione, tempo e diaframma, stato di carica pile; campo inquadrato 93% la KX.

L'altra parte superiore. Comando sensibilità ISO, con pulsante dedicato. Manetta di riavvolgimento. Pulsante controllo stato batteria

Feci moltissime fotografie con la KX. La maneggiavo alla perfezione. Le mie mani scivolavano sui tasti in automatico. Regolare messa a fuoco ed esposizione era questione di un attimo e, trattandosi anche di foto praticamente sempre statiche, era molto difficile ne sbagliassi una. L’obiettivo, come detto, era il 50/1.7 della serie M. Molto buono, non aveva nessuna limitazione, funzionava bene anche alla massima apertura, ma migliorava notevolmente chiudendo. Inizialmente ci facevo tutto. Paesaggi, anche notturni. Ritratti. Qualche accenno di street photography, quando si andava in giro. Sempre perfetto e rispondente, come la macchina. Feci soprattutto diapositive con questa accoppiata, ma anche del bianco nero, con grande appagamento. Fu la mia vera nave scuola. Imparai tantissimo.

Poi, il richiamo della foresta (la fotografia naturalistica) si fece sempre più forte, e tra le cose che avevo imparato c’era anche che avevo bisogno di un altro tipo di macchina, che Pentax ancora non faceva. La LX era ancora di là da venire. Con rammarico la diedi via per passare allo step successivo. La vendetti ad un mio compagno di università, che se la godette per anni e anni, magari tuttora, chissà.

All’arrivo del digitale, anziché dar via le macchine che usavo, cominciai invece a comprarne altre, complice il crollo dei prezzi di tutto quanto era analogico. Ero talmente legato a questa macchina che ebbi subito in mente di ricomprarla. Ma dovetti penare non poco per trovarne una come la volevo io, come la mia di 50 anni fa, nera e intonsa. Ma chi la dura la vince, e dopo qualche anno la trovai, quella che si vede qui fotografata😊.

Si tratta di una macchina molto bella, in sintesi, e anche buona, robusta e affidabile. Ha tutto quello che serve per fotografare in normali condizioni. Può essere utilissima per chi vuole imparare a fotografare. Per chi rifiuta l'eccesso di automazione e vuole fotografare con la propria testa, facendo le proprie scelte. O per chi necessita di un corpo manuale per riprendere persone, paesaggi, situazioni familiari, viaggi, vacanze e simili.

Pro: Robustezza, semplicità di utilizzo, completezza di funzioni, obiettivi molto buoni, leva carica additiva, pulsante profondità di campo, sollevamento specchio, varie modalità sincro flash, ottimo mirino con indicazione tempi e diaframmi. Prezzo equilibrato.

Contro: No intercambiabilità schermi di messa a fuoco, no avanzamento motorizzato, no ttl flash. Un po’ grossa e pesante. Design retrò (oggi affascinante), ma al tempo un po' superato.

Scheda tecnica

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Fin dagli anni 70, ho vissuto la fotografia in silenzio e solitudine, come ricerca personale. Ora ho modo di condividerla con mio figlio e tanti amici, il modo migliore per praticarla